
Questa settimana incontriamo Stefano Mei, ex mezzofondista facente parte, come per sua stessa ammissione, della meglio gioventù degli anni 80 e 90 dell’atletica azzurra. Stefano ha conseguito diversi primati, nelle varie distanze tra gli 800 metri e i 10.000, oltre ai successi e ai podi ottenuti agli Europe, alle Universiadi, nella Coppa del Mondo e nella Coppa Europa: tre medaglie d’oro, tre d’argento e due di bronzo, sommando tutte le competizioni. Recentemente, tra le altre cose, si è occupato di atletica all’interno della federazione, di cui è stato consigliere e candidato alla presidenza.
Ciao Stefano, cominciamo: qual era la distanza in cui ti sentivi più forte?
Devo fare una distinzione. La distanza in cui mi sentivo più forte, non era la distanza che mi piaceva di più. A me piacevano tanto i 1500 metri, infatti a sedici anni sono stato detentore del record del mondo. Crescendo però il mio allenatore notò che mi mancava lo spunto nel finale, per poter primeggiare in quella gara. Allora facemmo per due anni allenamento specifico per prepararmi a distanze più lunghe, come i 5000 e i 10000 metri, gare per le quali il mio fisico era più portato.
C’è una gara che vorresti ripetere, per poterla fare meglio?
Credo che in ogni ambito della vita ognuno di noi pensi che una certa cosa poteva farla meglio, ed così è anche nello sport. Dire però che una gara la rifarei, questo no, credo che quello che è fatto è fatto e in quel preciso momento, era il meglio che si potesse ottenere. Anche perché poi la mia carriera è stata condizionata fortemente dagli infortuni, che conseguentemente hanno condizionato le mie prestazioni, quindi è difficile avere rimpianti nel mio caso specifico.
Mentre quale consideri la tua gara migliore?
Il campionato del mondo di corsa campestre juniores nel 1982, e vado a spiegare il perché: in quella gara dovetti fare i conti con atleti etiopi che tutto erano, tranne che della categoria juniores. Io fui l’unico atleta europeo che riuscì a tenere il loro passo, arrivando terzo. Quella, secondo me, fu la più clamorosa dimostrazione della mia forza, anche perché Francesco Panetta, che arrivò quarto, accusò un distacco di ventidue secondi dal sottoscritto, e conosciamo bene quale fosse il valore di Francesco.
Hai stabilito anche diversi record italiani nelle varie distanze, qual è stato il più inatteso?
Il record più inatteso fu quello italiano sui 2000 metri che ottenni nel 1984, tornato dalle Olimpiadi di Los Angeles. Vinsi la gara in 4’58’’ battendo il primato che fino a quel momento apparteneva a Gianni Del Buono.
Con quale dei tuoi avversari avvertivi di più la rivalità?
Non ho dubbi, con Alberto Cova. Il nostro era un dualismo feroce, lui era l’uomo da battere ed ero consapevole che batterlo voleva dire quasi sicuramente vincere la gara.
Gli anni ’80 erano gli anni d’oro del mezzofondo italiano. Poi cosa è successo?
Abbiamo avuto altri talenti anche in seguito, ma credo che ci sia stata una limitazione della ricerca metodologica. Quando io smisi di gareggiare, venne dismessa anche la ricerca di nuovi metodi di allenamento, cosa di cui io e i miei tecnici eravamo fautori, spingendo così anche i nostri avversari a sperimentare. Si tornò alla metodologia classica, e questo aspetto, secondo me, ha contribuito a farci restare indietro rispetto agli altri paesi.
Come vedi la situazione in vista di Tokyo?
In verità sarei quello meno indicato a rispondere a questa domanda, in quanto, essendo stato candidato alla presidenza della Fidal, per me è difficile restare obbiettivo. Chiaramente io avrei fatto le cose in un altro modo, avrei cercato un’altra via per riportare l’atletica italiana ad alti livelli. Penso che qualunque risultato arrivi, in questo momento, sia solo frutto del destino. Prendi Filippo Tortu: è un fenomeno, ma non è un prodotto della federazione, bisogna solo dire grazie a sua mamma e suo papà. Non è figlio di un progetto tecnico, o di una scuola di velocisti. Non c’è programmazione, io ho visto raduni federali con centinaia di tecnici partecipanti, che hanno più che altro finalità elettorali, e non pratiche. Il settore tecnico nazionale deve essere il punto di riferimento, quello che detta le linee guida da seguire; conseguentemente poi si possono fare dei raduni a livello regionale, per diffondere il verbo. Bisogna fare in modo che i tecnici crescano insieme al loro atleti, e non cercare di portarglieli via, perché non si ritiene che siano all’altezza.
Ti dispiace molto non aver vinto una medaglia olimpica?
Guarda, nella mia carriera ho visto spesso grossi talenti non vincere mai nulla, penso ad esempio a Fernando Mamede. La vittoria di una olimpiade, o di un europeo, o di un campionato del mondo, è una cosa molto difficile da conseguire. Devi essere al tuo meglio, nell’anno giusto. E se anche sei al tuo meglio nell’anno giusto, al dunque magari sbagli la gara e finisci ultimo. Certo che mi dispiace non aver vinto una olimpiade, era il mio obiettivo, però la differenza tra andare sulla luna, e vincere le olimpiadi, non è secondo me così grossa. Le olimpiadi le vince uno solo, ogni quattro anni.
Hai voglia di dedicare un pensiero a Maura Viceconte?
Assolutamente, tutti nel mondo dell’atletica, e dello sport in generale, siamo sconvolti per la sua scomparsa. A quanto ne sapevo, aveva lottato e vinto contro la sua malattia, l’avevo incontrata a Torino qualche tempo fa e mi sembrava serena, contenta. Non so cosa l’abbia spinta a questo gesto tragico, probabilmente c’era qualcosa dentro di lei di non risolto. Perdiamo non solo una atleta e una campionessa, ma una donna ancora molto giovane e soprattutto una mamma.
E’ più dura l’atletica in pista, o quella della poltrona da dirigente?
E’ molto più dura l’atletica sulla poltrona. Quando un tuo avversario ti sta sulle balle, vai in gara e lo bastoni, metaforicamente parlando. Purtroppo la politica, anche sportiva, richiede una diplomazia che non mi appartiene, però sto cercando di imparare.
Oggi di cosa ti occupi?
Io continuo a lavorare in polizia, fin dal 1995, poi da due anni sono presidente dell’Associazione Nazionale Atleti Olimpici Azzurri d’Italia, sono stato nel consiglio federale per due mandati, ho collaborato con Sky come commentatore tecnico. In generale comunque la mia vita ruota sempre attorno allo sport. Sento di dover restituire qualcosa al mondo dell’atletica, che mi ha dato tanto.
Sai che tanti tuoi colleghi, mi hanno dato questa risposta? Sentono di avere un debito di riconoscenza verso l’atletica che vogliono saldare
E’ una cosa che chi non ha fatto sport attivo, non può capire, Un tempo, i dirigenti “di mestiere” non vedevano di buon occhio gli atleti che si spendevano in prima persona all’interno della federazione. La nostra forza, di noi ex sportivi, è che non abbiamo paura di perdere. Mi sono candidato alla presidenza della Fidal, ho perso, ma non sono mica morto! Continuo a seguire l’atletica e non mollo di una virgola.