
Rubando il titolo alla commedia con Luca Zingaretti, mi viene da dire questo: Sono tornato.
Come dico sempre, io non sono bravo in niente di quello che faccio, ma butto sempre il mio enorme cuore, e questo mi va riconosciuto senza falsa modestia, oltre l’ostacolo. Sono tutto cuore, sono istintivo, ragiono poco, se solo mi fermassi a pensare un po’ di più, probabilmente otterrei risultati migliori, facendomi anche meno male.
Anche nei sentimenti come in tutte le cose della mia vita, sono un disordinato, ma probabilmente più che un difetto è una caratteristica.
Alcuni di quelli che chiudono le maratone sotto le quattro ore storcerà il naso per tanto entusiasmo, ma io me ne frego: come dico sempre, la mia medaglia è uguale alla loro.
Cosa si può raccontare di una mia maratona? Molto poco in realtà, non ci sono aspetti tecnici, tatticismi, o chissà quale scoperta sorprendente dietro a nuovo prodotto testato. Le mie scarpe sono da anni le Nimbus, uso pantaloncini comprati a buon mercato, e una maglia compressiva trovata in un pacco gara. L’unica novità erano i calzettoni compressivi, comprati un anno fa dal mio amico Paolo Fossati, che non avevano ancora avuto la fortuna di condurre i miei polpacci ad alcun traguardo. Questo il mo abbigliamento tecnico.
Cosa mi ha spinto allora, nuovamente oltre il traguardo di una maratona, a quindici mesi da New York 2017? Certamente l’allenamento a cui mi sono sottoposto durante l’inverno, ma più di tutti, ancora una volta, la mia voglia, la mia testa dura. La mia testaccia che sa essere fragile come un biscotto, ma anche di roccia granitica. Lo stato di grazia psicofisico in cui verso da alcuni mesi, mi ha reso sicuramente il compito più facile: non ho mai avuto timore avvicinandomi a questo appuntamento, e durante la gara non ho pensato mai per un momento di non farcela.
Doveva essere solo un lungo, in vista di Londra, da portare a casa magari camminando un po’ gli ultimi chilometri. Beh, non ho mai camminato. A livelli di tempi, se ha senso parlare di tempi, al mio bassissimo livello, ho corso maratone migliori. A livello di sensazioni e di gestione di risorse ed energie, sia fisiche che mentali, molto poche. Anzi, mi azzardo a dire, forse è stata la migliore.
A Berlino alcuni mesi fa ero partito pensando al momento in cui mi sarei ritirato, ieri dopo tre/quattro chilometri di corsa, pensavo già alla gioia di quando avrei tagliato il traguardo. Già solo questo aspetto, fa molta differenza.
Il modo in cui ho corso la maratona di Siviglia, mi ha ricordato molto la mia prima, Reggio Emilia 2012. E’ stato tutto perfetto: mi sono alimentato nei momenti giusti, mi sono idratato nei momenti giusti. Il motore ha girato sempre ai giri giusti, di conserva quando mi sentivo un più stanco, lasciando andare di più la falcata nei momenti migliori, però mai al limite delle mie possibilità e mai in crisi. Non ho incontrato alcun muro, nessun calo di prestazione, sono stato regolare come un orologio. Sentivo il mio corpo ruggire, e sorridevo tra me e me. In giornate come queste il mio fisico da rugbista, più che da maratoneta, non tradisce.
Chi mi conosce e chi ha già letto i resoconti delle mie gare, avrà notato che da queste righe traspare un racconto molto meno passionale del solito, ed in effetti è così. Forse perché rispetto ad altre maratone c’è stata molto meno sofferenza dietro questo traguardo, un vissuto più sereno che mi ha accompagnato metro dopo metro dalla preparazione fino all’atto finale odierno. E’ stato questo il traguardo della serenità, del farcela semplicemente lavorando, tutto era in discussione solo perché avevo perso il gusto di correre.
Niente lacrime al traguardo, come successe a Boston o New York, niente rabbia gioviale come a Roma, niente abbracci riconoscenti, come a Firenze. Solo un sereno confronto con me stesso, il mettermi davanti al fatto che se voglio, sono ancora un maratoneta.
Il resto fa parte della vita.