Simone Leo, l'uomo delle nevi

Un anno fa celebrava il suo traguardo alla Brasil135, con cui aveva completato il circuito delle sette ultramaratone più dure al mondo. Arrowhead135 è già stata ribattezzata la sua ottava meraviglia. Simone Leo ancora una volta stupisce il mondo della corsa, tornando dalle nevi e dai ghiacci del Minnesota felice ma forse un po' segnato, sia nello spirito che nel corpo. Ha mantenuto la parola data a un amico scomparso mentre inseguiva i propri sogni,  questo probabilmente lo sta aiutando a trovare un po' della pace interiore che nelle settimane che hanno preceduto la partenza per gli Stati Uniti, gli era un po' mancata.

Bentornato Simone, sei reduce, è proprio il caso di dirlo, da Arrowhead135. Come è andata?

Tutto sommato bene, ho concluso la gara, che era quello che mi interessava. Come ho detto fin dall'inizio, mi sarebbe stato bene anche terminare un secondo prima del tempo massimo finale, fissato a 60 ore. Ho impiegato 59 ore e 30 minuti, potevo certamente fare un pochino meglio, ma ho avuto una serie incredibile di problemi fisici, una cosa così non mi era mai successa in nessuna delle ultramaratone corse in passato. La realtà è che sono andato più volte vicino al ritiro, questo traguardo lo considero un miracolo, quindi non posso che essere soddisfatto di quello che ho fatto, forse per la prima volta. È stata una avventura trascendentale.

Se devo essere sincero ho più volte visto la paura sul tuo volto, man mano che la partenza per gli Stati Uniti si approssimava. Oggi me lo puoi dire: ha mai pensato di non prendere il via?

Paura no, timore e spavento si, perché non sapevo bene a cosa stavo andando incontro. Comunque non ho mai pensato di non partire, quando decido di fare una cosa la faccio, prendendomi tutti i rischi del caso. La posta in gioco era alta, forse più che altre occasioni, non avrei rinunciato senza neanche provare.

Mi è sembrato che, più che in passato, tu abbia voluto chiamare a raccolta i tuoi amici e i tuoi tifosi per avere sostegno. Quasi una chiamata alla armi. E’ stato effettivamente così?

Si, hai visto bene, è stato proprio così. Sapevo di andare ad affrontare una sfida che usciva dai miei canoni abituali, per quanto concerne le condizioni ambientali, così ho cercato con insistenza l'affetto delle persone care, man mano che la gara si avvicinava. Questa è una parte fondamentale del mio avvicinamento ad ogni gara che affronto, ma questa volta lo è stato ancora di più.

Veniamo alla gara: pronti via e… come sono state le prime ore?

Ho subito capito che era un enorme casino. La slitta pesava tantissimo, più di quanto avessi preventivato. Non sapevo che a -28 gradi la neve non ghiacciasse, c'era questa coltre di alcuni centimetri di neve fresca che rendeva difficile il traino della slitta. Pur rinunciando a qualcosa di superfluo un minimo di attrezzatura era necessaria, e il necessario pesava 17 kg. Di correre non se ne parlava, è stata una gara sofferta dal primo all'ultimo metro.

Il momento più difficile?

Senza dubbio affrontare la seconda notte. Ero rimasto da solo, ma non per modo di dire, solitudine vera. Non ho visto anima viva per più di 9 ore. Inoltre fisicamente stavo male, avevo forti dolori alla schiena, l'unica posizione in cui trovavo un po' di sollievo era piegato in avanti, o con la schiena inarcata all'indietro. L'organizzazione ha cercato anche di fermarmi, sono rimasto in attesa del medico perché volevo che fosse lui ad emettere il verdetto, ma in realtà non è mai arrivato, quindi ho deciso di proseguire.

Avevi progettato di correre la gara insieme a Filippo Poponesi, come mai questo non è successo?

Perché sono scoppiato, chiaro e semplice. In gare così lunghe è difficile restare insieme a un altro concorrente per tutto il tempo. Lui ne aveva più di me e ha deciso di andare da solo, in situazioni come questa ci può stare. Considerando che poi per molte ore non ho più incrociato anima viva, questo è stato un elemento che ha condizionato la mia performance, ma ripeto, comprendo perfettamente Filippo.

Mentre il traguardo si avvicinava immaginavi come avresti celebrato questa ennesima impresa?

In realtà ci pensavo già mesi prima, durante i miei allenamenti a Milano. Poi nel corso della gara non ci ho più pensato, perché ero certo di ritirarmi.

Di chi hai sentito più la mancanza durante tutti quei chilometri, a parte la tua famiglia?

Di tutti quelli che mi mi hanno aiutato nei mesi precedenti la partenza per gli Stati Uniti, in particolare a Michele Zocco, che ha sacrificato ore e ore del suo tempo libero per costruire, e poi modificare di volta in volta, la cintura che mi sarebbe servita per trainare la slitta. Lui è l'emblema di questa gara. Ma anche a Francesco di Pacer, dove ci troviamo ora, che ha contattato gli sponsor tecnici che mi hanno fornito l'equipaggiamento necessario. Stranamente non ho pensato invece ai gufi, che ci sono stati anche questa volta, ho pensato solo agli affetti.

Tempo fa mi dicesti che durante queste gare, non hai pensieri mistici. Non è successo neanche questa volta?

Assolutamente no, al limite ho pensato "Perché cavalo mi sono cacciato in questa situazione"? Pensavo più a un letto, a una coperta, a una doccia calda.. cose di questo genere.

E’ stata la prima volta che hai dovuto gestire la gara in autonomia, senza il sopporto pratico della tua crew. Quali sono state le problematiche maggiori?

È più una questione di sostegno morale. Se da un lato è vero che quando hai il tuo gruppo che ti segue, è più facile gestire le circostanze come il cambiarsi gli indumenti, alimentarsi, eccetera, dall'altro è altrettanto vero che mi ero preparato nei mesi precedenti per far fronte alle naturali esigenze che si sarebbero venute a creare. Mi è mancata di più l'idea di poterli vedere, sentire, avere il loro incoraggiamento. Mi è capitato di non incontrarli anche per 15 ore filate durante Arrowhead, non è stato per nulla facile.

Per la prima volta, ti ho sentito dire "è una gara che sconsiglio".

Infatti non la rifarei, ma non è vero che è la prima gara che ho sconsigliato ad altri: entra nel novero insieme alla Atene-Sparta-Atene e la BadWater135.

Tu sai che io ho molta stima nei tuoi confronti, ammiro il tuo coraggio e la tua forza di volontà. Allo stesso tempo devo dirti che non sposo in toto la filosofia “no limits”. A che punto siamo con lo spostare il limite?

Capisco quello che dici, ma il mio discorso è un po' diverso. Per spostare il limite non è necessario fare le stesse cose che faccio io. Se per esempio sei un sedentario, sei sempre stato sul divano e inizi a correre 5 km, ecco che hai spostato il tuo limite. È questo che intendo, è un invito a non fermarsi davanti alle prime difficoltà e a non arrendersi. Per quello che riguarda me, probabilmente non ripeterò una esperienza simile ad Arrowhead135, farò sicuramente altre cose, ma non così estreme.

Hai fatto una dedica speciale al termine di questa gara.

Si, l'ho dedicata a Daniele Nardi, l'alpinista morto un anno fa sul Nanga Parbat, in Pakistan. Era un amico fraterno, ho partecipato a questa gara per una promessa fatta a lui, che avrebbe voluto far parte della mia crew. Le cose sono andate in maniera diversa, ma ho voluto mantenere la parola.

Costa ti resta da fare?

Riposarmi. Ora sono in quella fase in cui mangi quello che vuoi e continui a dimagrire, quindi aperitivi a pioggia e relax. Purtroppo questa condizione dura solo una decina di giorni.

Ora è il meritatissimo momento della festa e della gioia. Cosa avete in programma per celebrare questa tua impresa?

Ancora non lo so, sarei dovuto andare in Brasile con Giovanni Storti, ma il mio medico mi ha sconsigliato di partire. Devo pensare a rimettermi dai postumi del dopo gara, che stanno presentando il conto al mio fisico. Faremo certamente un cena per festeggiare insieme agli amici.