
Larga la foglia, stretta la via, che il campionato riprenda è sempre più una utopia. La pace siglata ieri tra Lega Serie A, Federcalcio e Ministro Spadafora, di fatto riduce al lumicino le possibilità che si riprenda a tirare pedate al pallone nel nostro Paese. Il Ministro dello Sport ha precisato che se la Serie A non ripartirà, il Governo se ne assumerà tutte le responsabilità, questo solleva gli organi federali da ogni tipo di recriminazione da parte dello società. Le carte a questo punto sono tutte sul tavolo da gioco, resta da capire chi ha il punteggio più alto ma è sottinteso che, se anche l'esplicita volontà della politica fosse quella di fermare il campionato, questa non sarebbe certo una vittoria, piuttosto una decisione dolorosa ma inevitabile.
La Uefa ha fin dall'inizio della crisi fatto molte pressioni sulle singole federazioni del vecchio continente, affinché fosse chiaro che la scelta di non proseguire il proprio campionato non fosse una concreta possibilità, ma una extrema ratio. E per esercitare il proprio potere istituzionale, ha cominciato a far circolare molto presto ipotetici calendari, volti a tracciare un piano per la ripresa. Una vera tabella di marcia a cui ispirarsi. Probabilmente Ceferin, presidente Uefa, pensava che l'aver assecondato la richiesta di posticipare Euro 2020 di un anno, li rendesse detentori di un debito da riscuotere, un favore da ricambiare. Le cose non sono andate così, infatti mentre le federazioni più grandi hanno continuato a guardarsi l'un l'altra, attendendo che qualcuno facesse il primo passo, quelle più piccole hanno cominciato a chiudere i propri campionati: in Polonia, Belgio e Francia, la discussione è già conclusa e l'arrivederci è alla prossima stagione. Persino la Bundesliga, che sembrava prossima alla riapertura, una volta annusata l'aria che tirava nel resto d'Europa, ha nuovamente frenato. È logico pensare che chi tra Serie A, Liga, Premier League e Bundesliga prenderà per prima una decisione, farà da rimorchio per le altre, che seguiranno a loro volta.
Cosa succederà ora, almeno da noi è difficile dirlo. Potrebbe anche darsi che il 18 maggio venga dato il via libera agli allenamenti, ma non sarà una garanzia di ripartenza. La Serie A considera il 14 giugno come ultima data utile, per avere il tempo tecnico di concludere il campionato regolarmente. Oltre quella soglia, vi sarebbero scelte alternative da fare, che potrebbero portare a una conclusione del torneo con un risultato ancora più raffazzonato. Impossibile infatti non pensare che, qualora si riprendesse a giocare dopo 3 mesi di stop, i valori in campo non siano variati. È inevitabile che questo accada. Concludere quindi il campionato con una formula tipo playoff, ad esempio, potrebbe produrre un risultato finale davvero poco credibile.
Chi pensa che questo sia un problema secondario, sbaglia di grosso. Il calcio non è più un gioco da quel dì, oggi è la terza industria del paese, la quarta al mondo. Versa nelle casse dell'erario un miliardo e duecento milioni di euro l'anno, dà lavoro a migliaia di persone. Quale potrebbe essere il risvolto economico e finanziario se il calcio fallisse? Mancati introiti in tasse, persone che resterebbero senza lavoro, a cui peraltro si dovrebbe mutualità (sto parlando degli impiegati, dei massaggiatori, dei medici, dei magazzinieri, degli autisti, insomma delle persone comuni che lavorano all'interno delle società). Senza contare il fondamentale contributo economico fornito, affinché tutti gli altri sport in Italia possano esistere. Infatti una parte di ciò che il sistema calcio versa al Coni, serve per finanziare tutte le altre discipline sportive. Senza calcio non esisterebbe lo sport italiano. No, non è un gioco, è decisamente una cosa seria.