
Dover raccontare di me a chi non mi conosce non è facile, non sapevo da dove cominciare. Sarebbe facile per chi cammina al mio fianco da anni, agli amici che ho avuto la fortuna di incontrare nel mio percorso, spiegare quale sia il fuoco che brucia nelle mie vene, la passione che ha cambiato la mia vita, fuori e dentro. Ma con chi non mi conosce mi sono chiesto “da dove comincio”? Allora mi è venuta in mente questa frase, tratta da un bellissimo brano di Marco Mengoni.
“Credo che ognuno abbia il suo modo di star bene, in questo mondo che ci ha intossicato l’anima. E devi crederci per coltivare un sogno, su questa terra spaventosamente arida…..”
Ormai dieci anni fa, ho trovato il modo di star bene, nel mondo che mi aveva intossicato l’anima, e ho creduto tanto nei miei sogni, li ho coltivati giorno dopo giorno fino a realizzarli, nonostante la terra fosse spaventosamente arida. Così ho imparato che tutto sembra irrealizzabile, finché non lo realizzi.
Io corro. Corro a modo mio, coi miei tempi, con le mie scarse capacità, ma corro. Alla rinfusa, mi piace usare questo termine, perché non seguo programmi, non seguo tabelle, non ha mai avuto un coach. Nulla di tutto questo, corro soltanto. Un giorno ho messo il cuore dentro un paio di scarpe, e ho cominciato un cammino che mi ha portato lontano, corpo e anima. A volte il cammino si è temporaneamente interrotto, ma non ho mai abbandonato il mio sentiero.
Passo dopo passo ho allungato le distanze, e dal parco sotto casa sono passato alla strada. La strada mi ha portato una mattina di marzo a correre la mia prima mezza maratona. Me la ricordo, la Stramilano 2010. Pur con un penoso tempo finale, con quella medaglia di latta al collo, unico riconoscimento per chi conclude la gara, mi sentivo come Rambo che era scampato alla morte. Come Colombo alla conquista del nuovo mondo. Come Marco Polo tornato sano e salvo da un viaggio interminabile in terre sconosciute.
Da quel giorno, sulla terra arida del mio talento, completamente assente, i sogni hanno cominciato a germogliare, fiorivano e si facevano sempre più grandi. Talmente ingombranti che un tempo li avrei messi da parte con la prima scusa a portata di mano, mentre questa volta non li ho lasciati morire, ho fatto si che l’immaginazione mi prendesse la mano e portasse un po’ più là. Per una volta non ho avuto paura di riuscire in qualcosa.
Nemmeno quando un pirata della strada una sera di fine estate mi investe, distruggendomi un piede. All’ortopedico che aveva emesso la sentenza di ergastolo “hai finito di correre”, ho risposto un anno e mezzo dopo partecipando e concludendo la maratona più antica del mondo: la Boston Marathon.
In quella mattina di aprile del 2015, al via, avevo messo in gioco tutto me stesso, era in un certo senso vivere o morire, sarei riuscito in una impresa che sembrava troppo più grande di me, non solo a correrla ma solo solo a immaginarla? Tutta la fatica, la rabbia, l’orgoglio, il lavoro, la perseveranza l’ho scaricata sull’asfalto bagnato dalla pioggia che non ha cessato di cadere nemmeno per un minuto delle quattro ore e rotti impiegate per arrivare in Boylston Street, dove era situato il traguardo. E il boato della gente che era lì ad attenderci, noi ultimi tra gli ultimi come fossimo i vincitori, è un tatuaggio sulla mia anima che niente e nessuno potrà mai cancellare. Mi viene ancora la pelle d’oca a pensarci.
Dopo di allora ne sono venute altre: c’è stata la maratona di New York, di Roma, di Venezia, tra le altre, e il prossimo 27 aprile sarà la volta di Londra. Ancora una volta un po’ a rincorrere i sogni e un po’ a fuggire da me, che sono troppo ingombrante per me stesso tanto che a volte faccio fatica sopportarmi.
Il talento che non ho nella corsa mi è stato donato nella scrittura, non dovrei dirlo io, ma siccome me lo riferiscono in tanti comincio a crederci. Così ho aperto questo blog dove racconto di me, intervisto sportivi, scrivo editoriali. Sto coltivando i mei sogni anche in questo caso, non se ne vedono ancora i germogli, siamo ancora ai semi, ma grazie all’affetto di chi mi legge voglio farli diventare grandi e continuare ad andare lontano.