Salvatore Antibo: "Avrei vinto i mondiali di Tokio, se non mi fossi ammalato"

Avevo preparato l’intervista a Salvatore “Totò” Antibo come faccio sempre, cioè predisponendo una scaletta. Ma con lui questo non poteva funzionare e dovevo saperlo. Infatti, ho capito presto che la mia scaletta l’avrei dovuta cestinare, e lasciare che le sue parole giungessero a me spontaneamente, senza tracciare la via con le mie domande. Alla fine, per strutturare in modo sensato la trascrizione della nostra chiacchierata, ho dovuto inframezzare il suo discorso con delle domande, ma in realtà è stato un piacevolissimo monologo. Totò è stato uno dei più grandi mezzofondisti a livello mondiale, un eroe dell’atletica italiana su pista. Ma questa volta vorrei parlare soprattutto di un uomo, che ricorda se stesso come se fosse un’altra persona, non nascondendo mai la sua nostalgia, che è poi anche la nostra.

“Dopo tanti anni resto il più amato, e non riesco a capire perché. La gente mi contatta su Facebook, mi chiede di scrivere qualcosa, di raccontare le mie gesta.. Sembra quasi che vogliano che io torni a correre.

Sono sincero, vivere con l’epilessia non è affatto bello. Ho circa quindici crisi al mese, praticamente una ogni due giorni. Ho provato ogni tipo di cura, di farmaco, ma non riesco a venirne a capo. A un certo punto avevo anche deciso di operarmi, ma il medico che avrebbe dovuto effettuare l’intervento è morto, e chi è venuto al suo posto mi ha sconsigliato di proseguire su quella strada. Non c’è possibilità di guarigione per me, vivo in casa e non guido più.

Mi sarebbe piaciuto allenare i ragazzi, ma non potendo spostarmi autonomamente questo non è possibile. Convivo col mio male, e non mi arrendo”.

Pensi di essere stato il migliore di tutti i tempi?

“Tutti affermano che ai miei tempi, ero il numero uno al mondo, persino il mio amico Alberto Cova, che ha vinto tutto. Il migliore di sempre è difficile da stabilire”.

Ad Helsinki nel 1989 hai mancato il record del mondo sui 10000 mt per tre secondi, eri più arrabbiato o più contento?

“Ad Helsinki non ero andato per stabilire un primato, ma la gara prese quella piega, fu molto veloce. Il record non arrivò per un mio errore, se avessi corso l’ultimo chilometro in crescendo, come facevo sempre, avrei realizzato il record del mondo, senza dubbio. Ma ti dico di più. Se l’Italia mio avesse organizzato la gara, io avrei stabilito il record sia sui 5000 che sui 10000. Invece dovevo fare sempre tutto da solo. Ricordo che il Meeting di Bruxelles del 1989 fu organizzato proprio per questo scopo, c’erano tutti i migliori, compreso me. Gli organizzatori ci dissero “non ci interessa chi vince, vogliamo che si faccia il record del mondo”.

Comunque per me, la migliore gara sui 10000 mt non la corsi ad Helsinki ma ad Oslo nel 1991, dove peraltro sono stato battuto. Il mio allenatore mi aveva sconsigliato di andare a quel Meeting, dovevo pensare ai mondiali di atletica che si sarebbero tenuti a Tokio. Ma io risposi che ci volevo andare per misurarmi con gli uomini che avrei dovuto affrontare proprio ai mondiali.

La gara fu strepitosa, una corsa ad ucciderci l’un l’altro, tra me e Skah, che fino a quel momento non conoscevo. Ancora oggi è considerata la gara più spettacolare sui 10000 mt, andate a rivederla su internet”.

Sei rimasto imbattuto quasi tre anni, sui 10000 mt, roba da vero campione

“Io dico sempre che sono stato bravo, ma non un campione, perché non ho vinto tutto quello che c’era da vincere. In fin dei conti mi manca l’oro olimpico, e mi manca l’alloro ai mondiali, e ti anticipo l’argomento, dato che mi starai per fare la domanda su Tokio”.

E’ così Toto’, parliamo dunque dei tristemente famosi, per te, e per noi tifosi, mondiali di Tokio del 1991. Dovevano essere i mondiali della tua definitiva consacrazione, invece….

“Nel 1991 ero all’apice della mia carriera, ero ancora più forte dell’anno prima, quando agli Europei di Spalato, vinsi sia i 5000 mt che i 10000 mt. A Tokio avevo un vantaggio rispetto agli altri, cioè i keniani Tanui e Chelimo. Loro avrebbero tenuto un ritmo a me congegnale, così da prendermi la rivincita su Skah. Era lui l’unico mio rivale, gli altri due li avevo sempre battuti, e li avrei battuti anche ai mondiali. A metà gara eravamo rimasti noi favoriti, a giocarci la gara. Al settimo chilometro mi ritrovai ultimo, senza sapere perché. Mi volevo ritirare, ma poi pensai che non era corretto nei confronti dei miei avversari, era giusto che terminassi la gara anche se non potevo più vincere. Non ero più io, non sapevo cosa mi fosse successo. Successivamente, in seguito ad approfonditi esami, si scoprì che avevo l’epilessia, e che probabilmente durante la gara ero stato vittima di una crisi. Forse scaturita a seguito di un incidente stradale che ebbi un anno prima, in cui sbattei la testa”.

Ma la prima crisi, fu effettivamente durante i 10000 mt a Tokio?

“Questo non te lo so dire, non lo saprò mai, perché non ho ricordi delle mie crisi. Chi può dire se non sia già successo prima”?

Chi ricordi con più affetto degli azzurri con cui rivaleggiavi?

“Tutti, davvero ricordo tutti loro con affetto: da Alberto Cova, a Stefano Mei, da Francesco Panetta a Gennaro Di Napoli. Non dimenticando poi Lambruschini, Carosi, Modica, Bennici … so che non sto citando qualcuno e mi scuso. Eravamo rivali ma anche amici. Facevamo grande l’Italia con le nostre vittorie”.

Senti, ma è vero che da ragazzo l’atletica non ti piaceva?

“E’ così, non conoscevo l’atletica, né la praticavo. Io giocavo a calcio, ed ero anche bravo. Finché per accontentare una mia insegnante, la professoressa Mandalà, che fu molto insistente, andai a Palermo dal professor Polizzi, a fare dei test atletici. Lui era un po’ scettico, mi ero presentato lì con scarpe da quattro soldi, maglietta e pantaloncini di fortuna. Corsi un 1000 mt in 3’01’’, poi gli chiesi se me ne potevo andare. Lui mi disse: scusa, ma tu parli così tranquillamente dopo un test simile, non hai il fiatone? Risposi di no, e mi chiese di correre un 2000 mt. Svogliatamente accettai, a patto che poi mi lasciasse andare a casa perché “tanto a me l’atletica non piace”. Corsi più forte del test precedente, chiudendo in 5’54’’. Dieci giorni dopo il professor Polizzi venne a cercarmi a casa mia, e mi disse, questo non lo dimenticherò mai, queste parole: Voglio parlare con i tuoi genitori, perché non posso perdermi un campione come te”.

Segui ancora le gare in televisione?

“Sempre, io amo l’atletica, non vedo l’ora che sia aprile per assistere alla maratona di Londra, sarà una gara meravigliosa tra Kipchoge e Mo Farah! seguo anche il calcio: sono tifoso dell’Inter, anche se non è più la squadra di un tempo”.