
Chi ha detto che per risalire la china bisogna prima toccare il fondo, conosceva profondamente la vita.
A me è successo proprio così. E per la seconda volta, riguardo la corsa.
Dopo quattro mesi, ho deciso di tornare a parlare di me, e della mia vita sportiva. Anche se non mi spiego bene il perché, i racconti di runners come tanti suscitano interesse e allora, visto che so scrivere e so correre, non potevo esimermi.
Tutto comincia, anzi, ricomincia dopo il fiasco della maratona di Berlino. Avevo deciso di mollare tutto, non avevo più voglia di sacrificarmi, di fare fatica.
Io sono fatto così, faccio finta di niente ma poi al dunque odio fallire, anche se un vero sportivo contempla anche il fallimento. Fallire non è una malattia, è una possibilità quando ti metti in gioco, in discussione, in qualsiasi campo della vita e dello sport. Ma te ne rendi conto solo ragionandoci a mente fredda. Quando sei ancora caldo e sudato, maledici te stesso per non avercela fatta, per non aver tenuto duro. Ti senti una nullità. Anche se come me appartieni alla categoria AS: amatoriale schiappa.
Così, dopo i circa dieci penosi chilometri “corsi” alla maratona di Berlino, avevo deciso di dire basta. In fondo la corsa aveva fatto parte della mia vita per tanto tempo, la stanchezza, soprattutto mentale, aveva preso il sopravvento. Ed in effetti tutte le gare portate a termine dopo il mio scintillante 2015, tra Atene 2016 e New York 2017 le avevo concluse con pochi chilometri nelle gambe, e tanto cuore. Molti runners fanno così e ce la fanno, concludendo molte più maratone di quelle che posso vantare io.
Però non io, o almeno non per un lungo periodo, perché non sono abbastanza forte mentalmente: ho bisogno di sentire la sicurezza di un fisico allenato, di una gamba che gira nel modo giusto, dell’elasticità della falcata, del respiro mai affannoso. Per un indisciplinato come me, l’unico modo di fare le cose bene, è con un minimo di metodo. Magari non totale, visto che non ho mai seguito una tabella, e non mai fatto una ripetuta, ma almeno la disciplina di uscire tot volte alla settimana, e di percorrere tot chilometri al mese, quello sì.
Dopo pochi giorni dal mio ritorno a Milano, un po’ alla disperata, ho deciso di concedere a me stesso una ultima possibilità di riprendermi la mia passione. Non dandomi obiettivi, né limiti, né scadenze e non fissando gare. Ho ricominciato correndo a malapena e con molta fatica cinque chilometri, un po’ come quando cominci a correre da zero. E poi…. Poi le sessioni di allenamento si sono allungate sempre un po’ di più. Le uscite si facevano più frequenti. Più miglioravo più mi motivavo, e più mi motivavo più miglioravo. Le settimane si sono succedute svelte, diventando mesi, e in quei mesi i chilometri hanno ricominciato a scorrere, più o meno veloci, a seconda dei punti di vista, ma la cosa importante è che scorrevano. Faticosi ma felici. Come me: affaticato e felice.
Nei giorni scorsi, ripensando a quello che stava accadendo, mi sono accorto che è una storia per me non nuova: già al termine del 2014, dopo il mio incidente stradale, non riuscivo più a trovare continuità e avevo deciso di smettere. Poi il 2015 fu il mio anno sportivo migliore di sempre. Anche chi ha detto che la storia si ripete, qualcosina l’aveva capita.
A poco più di quattro mesi da quel pomeriggio di settembre in cui tutto è ricominciato, posso gettare la maschera: correrò nuovamente una maratona. Il mio obiettivo finale è la maratona di Londra, il passaggio intermedio invece sarà quella di Siviglia, tra poco più di due settimane.
Certo, le incognite restano tante, non si può avere mai la certezza di concludere una gara lunga e faticosa come la maratona, ma almeno avrò la certezza di aver fatto tutto quello che in mio potere per poter terminare la gara.
Il resto fa parte della vita.