Raffaella Masciadri:"Rifarei tutto quello che ho fatto, per la maglia azzurra".

Se dico Raffaella Masciadri a voi cosa viene in mente? A me basket. O meglio, pallacanestro, come preferisce chiamarla lei. Senza tema di smentita, siamo davanti alla più grande azzurra di sempre e una delle più grandi giocatrici a livello mondiale. Scudetti a Como e Schio, per un totale di 15, 10 Coppa Italia, più una EuroCup. Ha giocato nella Women NBA, a Los Angeles, arrivando a un passo dalla finale nel 2008. Los Angeles. Il caso non è sempre casuale. Altrimenti come si spiegherebbe il suo approdo in quella che è stata la città di Kobe Bryant? A cui lei bada bene a non paragonarsi neanche lontanamente, ma a cui non posso fare a meno di accostare. Inoltre è una innamorata della Nazionale, di un amore autentico, carnale, al contrario di. molti suoi omologhi al maschile, che approdano negli Usa e sentono di poter fare a meno dell'azzurro. Ora siede dietro una scrivania e insieme a tanti altri bravi dirigenti, cerca di tenere a galla lo sport del nostro Paese, colpito e affondato dell'emergenza Coronavirus.

Prima di tutto: come sta? Come è andata questa quarantena, o meglio il distanziamento sociale?

È andata bene, nel senso che ho avuto tanto tempo da dedicare, in primis a me stessa e poi a tutte le attività lavorative che svolgo. Mi sono mancati e mi mancano i miei genitori, in quanto, abitando in regioni differenti, non ci siamo potuti vedere ancora dal vivo, ma lo faremo presto. Inoltre, ho riflettuto molto su questa pandemia, sugli effetti che ha avuto nel mondo e mi sento di dire che la vita va vissuta appieno, giorno dopo giorno, perché non sappiamo cosa ci riserva il futuro. Quindi apprezzare ciò che abbiamo, comunicare alle persone che amiamo quanto vogliamo loro bene, ed essere generosi con il prossimo; sono dei valori che, da ora in avanti, avranno ancora più significato per me e la mia vita.

Ha continuato a svolgere il suo lavoro da casa?

Si, ho lavorato come tutti dalla mattina alla sera in smart working, grazie a quelle piattaforme che hanno permesso riunioni, conferenze e anche allenamenti a distanza. L'impegno principale è stato con la commissione atleti, il CONI e il CIO, riguardo lo slittamento delle olimpiadi di Tokyo. A questo proposito ritengo che scelta più azzeccata non poteva essere presa: la salute e la sicurezza degli atleti, del pubblico e di tutti gli addetti ai lavori doveva essere salvaguardata.

Perché ha preferito la scrivania alla panchina?

Non l’ho preferita. Semplicemente ritenevo fosse arrivato il momento di terminare la mia carriera da atleta, perché il mio corpo e la mente non erano più in grado di dare il 100%, come avevo sempre fatto. La vita è fatta di capitoli, se ne è chiuso uno molto bello ed importante, ma ne ho riaperto subito un altro altrettanto stimolante da dirigente sportivo.

La sanità e lo sport sembrano legate dallo stesso destino: tutti ne riconoscono l'importanza, ma i finanziamenti destinati a questi settori vengono tagliati. Molte società dilettantistiche di ogni disciplina vedono la loro esistenza messa a rischio, dopo questa crisi.

Di sicuro questa pandemia ha creato problemi economici al mondo sportivo, e non solo. Le prime vittime sono gli atleti, le società sportive, le federazioni e tutti quegli enti che investono nello sport. Sono convinta che la prima cosa da fare ora, sia cercare quell’armonia che consenta ai sodalizi sportivi di continuare ad investire e agli operatori di avere le giuste tutele, indipendentemente dal genere di appartenenza o dalla disciplina praticata. Trovo molto produttivo e democratico che siano tutti i rappresentanti del mondo dello sport a essere parte attiva col Governo, che ricordo è chiamato ad attuare la legge delega anche sul professionismo e sul lavoro sportivo. Al riguardo, è molto interessante quanto sta emergendo dallo specifico tavolo di lavoro costituito dal consiglio nazionale del CONI, su input del Presidente Malagò. Stanno emergendo utili elementi di valutazione sia dai presidenti federali, che dagli enti di promozione sportiva e soprattutto dai rappresentanti degli atleti e dei tecnici. In particolare, si sta formulando una proposta che preservi le agevolazioni previste per i dilettanti, coniugandole con le tutele previdenziali, senza aggiungere ulteriori oneri ai club e agli operatori del settore.

La Pool Comense, storica società di basket ha cessato l'attività nel 2012. Oltre ad essere un grande dispiacere dal punto di vista affettivo, quanto è doloroso a livello politico che squadre che hanno fatto la storia dello sport scompaiano?

È doloroso sia a livello affettivo che politico, perché si perdono società storiche che hanno saputo dare valore non solo alle città che hanno rappresentato, Como in questo caso, ma che fungevano da traino per tutte le altre società del Paese. La Pool Comense ha vissuto gli anni d'oro della pallacanestro, sia in Italia che in Europa, questo ha contribuito a dare sostegno e credibilità anche al movimento stesso, soprattutto in ottica internazionale.

Ritiene che i campionati di basket sono stati chiusi un po' frettolosamente, oppure è in sintonia con la decisione assunta?

Queste decisioni competono al presidente Petrucci, che credo sia stato uno dei pochi presidenti federali ad avere avuto il coraggio di fare una scelta così importante, ed in pochissimo tempo. Soprattutto, considerando il fatto che eravamo in una situazione mai accaduta prima. Sostengo in pieno la sua decisione. Come dicevo prima riguardo le Olimpiadi, la salute viene prima di tutto.

Le sue città sono state: Como, Schio, Los Angeles. È qui sintetizzata tutta la differenza tra il basket azzurro e quello a stelle e strisce?

Come tutti sanno, la differenza tra il basket americano e quello europeo è nello stile di gioco: più individualista quello oltreoceano, più collettivo il nostro. Questo non significa che uno sia migliore di un altro, semplicemente sono due modi diversi di concepire e giocare la pallacanestro. Inoltre lo sport in America è un evento, uno spettacolo, la gente va anche a godersi lo show a contorno. In Italia questo aspetto è ancora poco valorizzato.

Se da un lato il non aver vinto il titolo WNBA non toglie nulla alla sua carriera, allo stesso tempo le domando: avrebbe aggiunto molto?

Non sarei onesta se dicessi che sarebbe stato un trofeo come gli altri. Però mi sento di dire che l’esperienza in sé, al di la della conquista o meno del titolo, ha dato molto valore alla mia carriera: sono cresciuta, sono migliorata ed ho arricchito il mio bagaglio tecnico. Tutti aspetti che mi hanno permesso di ottenere tutti i successivi traguardi sportivi.

Qual è stata la persona più importante per la sua carriera?

Indubbiamente i miei genitori, in particolare modo mio papà Luigi, ex cestista, che mi ha spinto verso questo sport. Inoltre, mi ha sempre stimolato e supportato, mi ha aiutato a fare le scelte giuste nei momenti decisivi. La mia carriera la dedico a lui e a mamma Elena, ovviamente.

L'avversaria più forte che ha affrontato?

Diana Taurasi: imprevedibile, forte fisicamente, reattiva ed esplosiva. La cosa però che mi ha colpito maggiormente di lei, è che ha sempre giocato con il sorriso sulle labbra. Testimonianza del fatto che si diverte ancora oggi, oltre che della sua immensa passione.

Qual è il successo ottenuto nel corso della sua carriera a cui tiene di più?

Il decimo scudetto vinto con Schio, perché oltre ad avermi permesso di chiudere la carriera con un successo, ha significato il completamento di un'era. Vincere 10 campionati in 15 anni, con la stessa maglia e con lo stessa voglia del primo, ha stretto me, la società di Schio, i tifosi "orange" all'interno di legame  indissolubile, eterno e unico. Mai avrei pensato di riuscire a creare una dinastia, una tale legacy. Sarò sempre grata al Presidente Cestaro, ai miei fans e alla città di Schio per avermelo permesso.

So che è difficile per una come lei, che ha giocato tantissime partite e segnato migliaia di punti, stabilire quale sia stata la sua migliore partita disputata: ci provi comunque e mi spieghi perché sceglie proprio quella.

Diciamo che non ho mai amato esaltare le mie prestazioni, perché ho sempre anteposto la squadra e i suoi traguardi ai mie successi personali. Però, se devo pensare ad una delle mie partite più belle e che più mi ha emozionato, dico gara 5 della finale scudetto Famila Schio-Priolo, che ci ha regalato il secondo scudetto nel 2006 e in cui io segnai 34 punti, il mio record assoluto. La scelgo non tanto per le mie statistiche, ma piuttosto perché é stata una finale scudetto sofferta. Volevamo confermarci Campioni d’Italia per la seconda volta consecutiva, risultato unico nel basket femminile. Priolo fu un avversario tosto, eravamo allo stremo delle forze, così mi caricai la squadra sulle spalle, perché ogni mia compagna si meritava quel risultato, per ciò che aveva dato durante la stagione.

La partita invece che non avrebbe mai voluto perdere?

Lo spareggio Italia-Lettonia agli Europei del 2017, in Repubblica Ceca. Vincere ci avrebbe regalato la partecipazione ai Mondiali. Un risultato che cercavamo da anni e che quel gruppo meritava.

Invece credo che tutti conoscano già la partita che avrebbe voluto a tutti i costi giocare...

Si, e’ vero avrei voluto a tutti i costi entrare in campo, contro la Svezia, ma ormai è acqua passata. Il punto non era tanto il voler giocare la mia ultima partita in maglia azzurra, quanto il non essere stata rispettata e considerata come giocatrice, capitana ma soprattutto come donna. A me non ha mai regalato niente nessuno, sia nella carriera che nella vita. Mi sono guadagnata tutto con il lavoro, il sacrificio e la dedizione. Alla maglia azzurra ho dato tutta me stessa e rifarei tutto per lei. Il dispiacere più grande e' stato rendermi conto che qualcuno non l'ha compreso appieno, non ritenendomi un grado di giocare una partita di pallacanestro, quando ero ancora in piena attività.

La sua lettera alla Nazionale ha ricordato molto quella di Kobe Bryant.

Non mi sento minimamente paragonabile ad un'icona come lui, ma ti ringrazio. Io credo dietro le nostre lettere di addio, ci sia semplicemente un uomo o una donna che ha realizzato il proprio sogno, quello che coltivava fin da bambino/a. E che grazie allo sport ha fondato la sua vita su valori fondamentali come il rispetto, la lealtà, la perseveranza. Il nostro amore per la pallacanestro é stato intenso, viscerale, vissuto con tenerezza e passione e che ci ha reso persone migliori, giorno dopo giorno.