
La legnata è di quella che si farà sentire. Perché perdere il derby ci poteva stare, perdere come ha perso il Milan fa più male. E fa male alla classifica, all'autostima, alla psiche e a qualunque aspetto si possa e si voglia considerare. Il secondo tempo della partita di ieri contro l'Inter, inchioda i rossoneri a tutte le proprie responsabilità e mette a nudo fragilità e debolezze di una squadra priva di carattere, insicura, che scrive da sé il suo destino nel momento esatto in cui Brozovic pesca il jolly, scaraventando in rete un pallone spiovente che sembrava non avere significato alcuno. Da quel preciso istante la squadra di Pioli cade preda di sé stessa, si immobilizza, si incanta guardando il suo carnefice negli occhi come preda di un incantesimo, aspettando quel destino ormai divenuto ineluttabile chiamato sconfitta. La squadra di Conte sembra suggere energia ai rivali e più quelli si scaricano, più loro diventano elettrici. La condizione ideale per la squadra del tecnico salentino. Il pareggio è un dettaglio rapido. Il gol del sorpasso è nell'aria, è come lo scontatissimo finale di un maledetto film romantico: per quanto a lungo tu possa girarci intorno, tutti sanno come andrà a finire tra quei due. La quarta rete è il suggello, è il permesso dato agli sconfitti di abbandonare il proprio posto in tribuna, ancora una volta traditi delle speranze faciullesche di chi ama i propri colori, ma deve fare i conti con una realtà che le ripetute discese agli inferi di una squadra che agli inferi dovrebbe sentirsi a casa propria, rende sempre più cruda e dolorosa.
Eppure c'era stato un primo tempo sinfonico, una ouverture che anche solo sognarla sarebbe stato peccato mortale. Tutto troppo bello per essere vero, come i sogni perfetti dei bambini, quando sono felici. Come una visita inattesa la domenica mattina. Allo stesso modo, quell'incredibile spettacolo srotolatosi davanti ai nostri occhi e il conseguente meritatissimo vantaggio, ci faceva sentire immortali, invulnerabili, per una volta destinati al successo inatteso. Se la befana arriva al 31 agosto, diventa crudele trovare il carbone nella calza. Ibra canta e porta la croce, segna, serve assist, coglie un palo, tiene impegnata la difesa interista muovendosi entro un raggio di un metro. La più elegante statuta mai vista su un campo da calcio, solo lui può unire classe e immobilismo. Ma non basta, i topolini non seguono più il pifferaio magico, la musica cessa e serpenti si mangiano tutto. I nostri sogni di tifosi sono in affitto come il destino buio, interlocutorio e stantio di una squadra che non molto tempo fa aveva forgiato la parola leggenda nel vocabolario del calcio.