Olimpiadi 2024: escono 50 km di marcia e karate, entrano break dance e skateboard

Dice Gatto Scrivente, di Carlo Esposito

Sono contento.
Il Comitato Internazionale Olimpico ha preso tre decisioni che hanno fatto scalpore. Tutte e tre, in un modo o nell’altro, mi riempiono di gioia.
1) il Karate non sarà più alle Olimpiadi a partire dal 2024. Bene. Vedete, io ho iniziato a praticare arti marziali a 13 anni. E le pratico ancora. Conosco bene la differenza tra sport e arte marziale.
Ricordo distintamente quando, nel 2016, fu dato l’annuncio che il Karate sarebbe diventato sport olimpico. Fu un disastro, come era accaduto in precedenza per il Tae Kwon Do.
Dovete tenere presente che in qualsiasi arte marziale, anche a un livello medio-basso, il rischio di incidenti è molto elevato. Non ci vuole nulla a rompere un naso, o un paio di costole, o a provocare un’emorragia interna. Figuriamoci a livelli olimpici. La maggior parte dei colpi che gli eroi dei film incassano senza problemi, nella realtà sono mortali o invalidanti.
Ora, nessuno vuole vedere morire un ragazzo alle Olimpiadi, per cui ci fu una rivoluzione: da un lato, protezioni da palombaro, dall’altro una serie di regole ridicole su cosa si poteva o non poteva fare, su quali colpi fossero consentiti e quali no (figuriamoci, le arti marziali tradizionali sono nate per salvarsi la pelle a mani nude contro guerrieri vestiti di armatura e armati di spada) e soprattutto su quello che normalmente viene definito “controllo”: si può portare codesto colpo ma a due centimetri dalla faccia, con quest’altro puoi toccare ma non affondare, eccetera. Iniziò immediatamente una selezione negativa nel mondo del karate: bastava essere veloci, non efficaci. Anche se il polso è storto e te lo fracasseresti già solo lavorando al sacco leggero, hai toccato, è punto! Calcetti che non farebbero scappare un passerotto? Idem.
Per non parlare del Kata, che è stile e forma, la quintessenza dell’Arte: la federazione incaricata dal CONI di selezionare la nostra squadra olimpica per Tokyo 2020, la FIJLKAM, decise di punto in bianco che le donne dovevano dedicarsi, in questa specialità, esclusivamente allo stile Shito Ryu, perché....più aggraziato, più confacente alle ragazze, anche se capaci di mandarmi per direttissima a fare tre settimane di vacanza in ortopedia. E io non sono propriamente un signor nessuno.
Anni di lavoro e di studio buttati per migliaia di giovani atlete super competitive. E stiamo parlando di Italia, 2016, non di Giappone era Tokugawa, dove, anche all’epoca, se aveste parlato di stili “Maschili” e “Femminili” di Karate nel migliore dei casi sareste stati seppelliti di risate. Nel peggiore, avrebbero dato una dimostrazione sulla vostra pelle.
Per non parlare delle solite beghe accentratrici e clientelari comuni a tutte le federazioni, cinture nere regalate come se piovesse, beghe politiche tra Maestri che volevano il loro posto alla guida del treno in corsa.
Per cui, se come me avete fatto in tempo a vedere un Karate diverso, non potete che gioire della decisione del CIO. Non è uno sport, il suo posto non è alle Olimpiadi. È un’ Arte, è BU-SHI-DO la Via del Guerriero.
E forse ora potrà tornare ad esserlo.
Forse ora potremo parlare di controllo semplicemente per evitare di vedere sangue e ossa rotte sul tatami.
2) Mi dispiace davvero moltissimo per la 50 km di marcia. Però, guardatela così: se non altro il DOPATONE NAZIONALE ce lo siamo tolto dai piedi. Non avrebbe fatto comunque in tempo a qualificarsi per Parigi 2024, dato che la sua squalifica finisce il 7 luglio di quell’anno, ma di sicuro qualche genio di casa nostra avrebbe fatto carte false per mettergli addosso un maglia azzurra. Invece per quella data avrà 40 anni, e col cazzo che sarà competitivo nella 20 km.
Bye bye Alex. Bye Bye Sandro.
3) E la Break Dance? E lo Skateboard?
Sinceramente, non so proprio quali possano essere le motivazioni alla base di questa decisione, ma vi garantisco che guarderò queste due discipline con enorme piacere, lo stesso che mi fa alzare di notte per guardare il nuoto sincronizzato o le ginnaste che creano delle coreografie incredibili con quel nastro chilometrico. Lo stesso che mi fa guardare i surfisti cavalcare onde inimmaginabili, sparire sotto la cresta del tubo e venire fuori all’improvviso da una montagna di spuma come Poseidone in persona, appena in tempo per evitarmi una sincope per essere stato troppo in apnea. Un po’ di spettacolo, che male fa? Piantatela di rompere i cojoni, che tanto gli stessi che tuonano contro “la mercificazione dello sport” stanno da parecchi giorni  a sdilinquirsi discettando delle scarpe usate a Valencia. Scarpe, non atleti. Eh, a pensare male si fa peccato, ma ci si piglia quasi sempre (cit.).

Un po’ di onestà intellettuale, a quando?

Un po’ di utilizzo autonomo di quell’organo che vi riempie la scatola cranica, occupando un volume di quasi 1400 centimetri cubici, lo trovate davvero inappropriato?

La società si evolve, il CIO (sicuramente sbagliando, per carità) cerca di adeguarsi a quella evoluzione. Alcuni commentatori di atletica, no, non si evolvono, se non in peggio. Fosse per loro, saremmo ancora ad accendere il fuoco con due pezzi di selce e a tenere lontani i predatori con punte di lancia. Tranne, ovviamente, quando si tratta di doping. Allora, solo allora, li vedrete invocare (a cazzo) garantismo, civiltà, logica e presunzione di innocenza.