
Vorrei cominciare questo mio articolo complimentandomi con le azzurre. Nonostante la dolorosa eliminazione, iI loro approdo ai quarti di finale dei mondiali è stato un buon risultato, un ottimo punto di partenza per Il calcio femminile nostrano, che fino a 2/3 anni fa era relegato a ruolo di calcio minore, calcio dilettantistico. Invece sono tante le donne appassionate di questo meraviglioso e romantico gioco. Nelle periferie delle grandi città, le ragazze sono costrette molto spesso a giocare in squadre maschili per coltivare la loro passione.
Nonostante questo, nel giro di poco tempo il calcio in rosa, seppur agli albori nella forma semi professionistica attuale, è assurto rapidamente ad un ruolo di primo piano nel panorama mondiale. Siamo tra le prime otto nazioni al mondo, praticamente un miracolo, considerando il punto di partenza. E’ ancora molta la strada da percorrere, ma ci sono ampi margini di miglioramento. Anche per le ragazze si comincia a parlare di contratti, di diritti tv. Introiti che fungeranno da humus per un movimento che è sempre stato tutt’altro che secondario, ma a cui è stato dato troppo poco spazio ed importanza.
Le squadre femminili professionistiche attualmente sono vere e proprie costole delle società a capo delle compagini maschili, ramificazioni che fanno realmente parte della società di cui portano il nome. Se ti chiami Milan, o Juventus, sei davvero il Milan o la Juventus, non omonime squadre di calcio femminile che disputano anonimi campionati in sconosciuti campetti di periferia, come era un tempo.
Il concetto di polisportiva è l’idea da cavalcare per tornare ai vertici dello sport di squadra a livello mondiale. Polisportive e poligenere. La stessa struttura, la stessa organizzazione, le stesse risorse per fare fronte comune verso l’obbiettivo: la vittoria, sì, ma anche la crescita, lo sviluppo e la diffusione di metodo e di cultura sportiva.
Queste le note liete. Le note dolenti, purtroppo siano noi osservatori, noi addetti ai lavori. Noi giornalisti, quelli ottusi, quelli retrogradi, compresi quelli armati di buone intenzioni che, seppur involontariamente, hanno invece reso un pessimo servizio alle quote rosa del calcio azzurro.
Mentre Sara Gama e compagne difendevano i nostri colori negli stadi d’oltralpe, i più indecenti, beceri e scadenti articoli di giornalismo delle più disparate testate, rimbalzavano sui social a caccia di qualche polemica e numerosi like.
Per fare qualche esempio, perché l’argomento omosessualità all’interno del calcio maschile non viene mai toccato, come fosse un tabù, un segreto, il parente scomodo di una famiglia apparentemente perfetta, mentre si fanno insinuazioni più o meno velate sulla vita private delle ragazze del pallone, italiane e non? Sbattere in prima pagina un bacio tra due ragazze, nella fattispecie due calciatrici, è cronaca o pettegolezzo? Cosa ha che fare questo col risultato di una partita, con la maestria di una giocata, con la bellezza di un gol? Nulla, è una azione senza senso, perché in quel gesto la notizia non esiste. Semplicemente non c’è. E se anche ci fosse, non riguarda lo sport.
E ancora, le polemiche sulla retribuzioni delle giocatrici, molto inferiori, almeno in Italia, rispetto ai colleghi uomini, è davvero una notizia? Non è forse vero che la differenza di salario tra uomo e donna è un problema all’interno della nostra società, e non del solo mondo del calcio?
Se si vuole seriamente parlare di disparità, parliamo della disparità di retribuzione all’interno del mondo del lavoro. Che senso ha scrivere che il Ct Bertolini, ad esempio, viene pagata meno del Ct Mancini?
La realtà è che se il calcio femminile cresce, sempre di più, noi siamo ancora all'interno del ventre materno, completamente inconsapevoli di ciò che ci circonda. Scrivere ovvietà da giornaletto di gossip sulle ragazze del calcio, è come scrivere che i neri hanno il ritmo nel sangue, che gli omosessuali sono particolarmente sensibili. Luoghi comuni profondamente offensivi, non più degni dei tempi che stiamo vivendo.