
Sono quasi le tre del pomeriggio. Sono stanco ma contento, penso di aver fatto un buon lavoro come volontario alla maratona di Milano. Il tratto di strada che mi è stato affidato non ha presentato molte difficoltà, anche grazie alla presenza dei vigili che mi hanno aiutato a tenere a bada gli automobilisti che hanno trovato le strade sbarrate dalle transenne. Mi illudo che forse, finalmente, anche i milanesi si stanno abituando all’evento maratona, una festa in ogni città del mondo, tranne che a Milano, purtroppo.
Affamato come un lupo, dopo tutte quelle ore in piedi e la colazione e il pranzo saltati, trovo un Mc Donald e mi ci addentro pregustando il momento in cui potrò finalmente addentare un panino. Indosso ancora la giacca e il pass in dotazione a chi ha prestato servizio lunghe il percorso, mi avvicino al banco e faccio il mio ordine. Pago, poi improvvisamente il ragazzo che mi sta servendo si rivolge a me dicendomi: “ma non potete andare a correre al parco invece di bloccare tutta la città”? Rimango di sale, non riesco a a capire se stia scherzando, o se invece dica sul serio.
Sono talmente stanco che non so davvero cosa rispondere, abbozzo e vado a sedermi, con una amara constatazione nel taschino che smentisce la prima sensazione che avevo ricevuto “dalla strada”: non siamo ancora pronti per presentarci al mondo come città marathon friendly.
Il numero dei runners è in aumento, di chi arriva a corre persino una maratona anche. Certo, magari c’è chi farà una unica esperienza, chi riprende e poi molla, chi è costante. Ma è incontrovertibile che il movimento è in costante crescita. Provate a fare la conta di negozi di articoli per il running che ci sono in città oggi, e quanti ce ne erano solo dieci anni fa.
Eppure per i cittadini è inconcepibile che per alcune ore di una domenica di aprile, le strade siano chiuse in alcuni tratti. Ma come è possibile? Su che pianeta vivono queste persone, che ogni anno si sorprendono come fosse la prima edizione della corsa? che ogni anno proprio quel giorno, in quella mezza giornata, hanno bisogni così impellenti da non poter sbrigare in un altro momento, o spostandosi con la metropolitana? invece di incazzarvi, informatevi, mettete un bel circolino rosso su quel giorno che viene deciso sempre con molti mesi di anticipo e fate come negli altri paesi: anche se non correte fatevi coinvolgere dalla festa, partecipate, scendete lungo il percorso e gridate, fate casino, fate il tifo per quelle migliaia di pazzi furiosi, che hanno pagato per essere lì, che non vinceranno nulla se non una medaglia di latta, che hanno sacrificato molte ore del loro tempo libero per poter terminare la maratona, anche se nessuno ricorderà i loro nomi o il loro tempo.
Se conosceste le storie di chi corre, nella stragrande maggioranza dei casi, trovereste vicende personali che per una ragione o per l’altra vi colpirebbero, vi commuoverebbero, o quantomeno spiegherebbero il perché una persona si sottoponga a uno sforzo simile, con la sola ricompensa di esser arrivato al termine.
Tu che ieri ti sei arrabbiato, che ci hai maledetto, che ci hai trattati come degli idioti, fai questa riflessione: pensa alla tua vita e al momento in cui hai portato a termine qualcosa. Poche volte vero? Forse una, se ti è andata bene. Si perché la vita ci si augura sia molto lunga, e dato che si dipana in un lasso di tempo indefinito, le cose che lascerai incompiute saranno la maggior parte. Beh, terminare una maratona sazia il bisogno sensoriale di compiere, di portare a termine qualcosa. Non è un capriccio. E’ una storia, un viaggio, un racconto, lungo 42,195 km, un pezzo della tua vita che sai per certo che inizia e finisce in qualche ora.
Ho sempre sostenuto che una volta nella vita tutti dovrebbero correre una maratona, perché dopo non sarai più la stessa persona. Certamente la mia è una iperbole, legittimamente c’è chi a correre non ci pensa e gli fa schifo solo il pensiero. Però lascia che per una domenica all’anno io possa procedere col mio passo, da lumaca o da lepre, verso un traguardo che non è solo una linea di gesso bianca sull'asfalto, ma un confine oltre il quale molte persone almeno una volta nella vita possono acchiappare i loro sogni sfuggenti.