Dice Gatto Scrivente di Carlo Esposito
Pochi anni fa un gruppo di ricerca di Harvard pubblicò uno studio, articolato su due decenni, sul cambiamento (in peggio) della politica americana. La tesi portante di questa ricerca è che vi sia una polarizzazione dello scontro e del confronto politico a livello di istituzione federale, dovuto essenzialmente alla capillare evoluzione tecnologica della società americana. In particolare, il boom delle linee aeree nazionali e la diffusione dei social network.
Nel primo caso, la enormemente aumentata possibilità di prendere un aereo per tornare a casa dopo aver votato al congresso, ha permesso alla stragrande maggioranza dei deputati e dei senatori di essere presenti il tempo minimo indispensabile a Washington D.C. per discutere e votare, senza doversi fermare per due o tre giorni nella capitale, come accadeva negli anni 80 e nella prima metà degli anni 90. Per cui politici di diversa appartenenza hanno scarse possibilità di incontrarsi al di fuori della sedi istituzionali che so, a un ristorante, a un circolo del tennis, o nella hall di un albergo. Queste occasioni sociali, IN PRESENZA, permetterebbero l’esistenza degli stessi come persone, e non solo come politici. Scatterebbero pertanto tutti quei meccanismi inibitori che impediscono l’aggressione personale e lo scadere nella maleducazione e nella mancanza di rispetto dell’avversario. Ovvero nella polarizzazione dello scontro che rende faticoso il funzionamento della macchina democratica.
Nel secondo caso, la faccenda è più sottile, perché si trasferisce sull’elettorato: mentre prima i politici candidati al congresso facevano comizi in continuazione, erano costretti ad andare in mezzo alla gente, a stringere mani e a farsi vedere al mercato o nelle sedi sindacali magari imbattendosi anche in gente che li fischiava sonoramente, oggi fanno uno smisurato uso delle piattaforme social per incontrare il proprio elettorato. Questo permette campagne elettorali meno costose, ma porta a una estrema polarizzazione dell’elettorato dovuta a una selezione ALLA FONTE delle persone grazie agli algoritmi dei social.
La ricerca si conclude con un allarme molto serio per l’attitudine democratica, poiché l’essenza stessa della democrazia è l’attitudine al compromesso tra parti politiche avverse e diverse, e questa attitudine nasce dal riconoscere l’avversario in quanto persona e rispettarlo, cosa che le tecnologie stanno rendendo sempre più difficile.
E’ una cosa che io sperimento tutti i giorni, frequentando caparbiamente svariati gruppi facebook. Di corsa, ma sono pronto a scommettere che avviene praticamente ovunque. L’interlocutore è talmente lontano, talmente sfumato che si arriva rapidamente a scontri furibondi per cose estremamente banali. Insulti, minacce legali, ripicche, si sprecano scadendo rapidamente nel ridicolo.
Un esempio pratico: la settimana scorsa un tizio, sul gruppo degli Atleti Disagiati si chiede a che serva acquistare le Alpha Fly se si corre a più di cinque minuti al km. Ha detto solo questo, nient’altro. Non ha sfottuto nessuno, non si è vantato di andare più forte, e se ci pensate un attimo aveva ragione già solo per il fatto che la stessa Nike, per una serie di motivazioni tecniche che vi risparmio, consiglia quel tipo di scarpa a chi corre dai 4 min/km in giù.
Apriti cielo. In meno di due ore 250 commenti, di gente indignata che si sente presa in giro perché tapasciona, eppure usa quel tipo di scarpa spergiurando che non si è mai infortunata e che, testualmente, quelle scarpe hanno donato loro “momenti di grande gioia”.
Avoja a ribattere o ad argomentare, questa gente vuole vedere il sangue, sono lì per arrabbiarsi con te, scadendo rapidissimamente nel ridicolo. E non potete liquidarli considerandoli semplicemente degli imbecilli. Il fenomeno è troppo diffuso, credo che questo accada soprattutto per i rischi INSITI nello strumento, ovvero il social network. Se la stessa discussione fosse accaduta per strada, a una fermata dell’autobus o in un pub davanti a una birra, state certi che sarebbe andata diversamente, anche tra perfetti estranei che non si erano mai visti prima. Da un lato perché, IN PRESENZA, ci sono una serie di meccanismi inibitori dell’aggressività che ci impediscono di venire alle mani per delle baggianate, ammesso che non abbiamo qualche patologia mentale, ovvio. Dall’altro perché la gestualità, la mimica facciale, l’intonazione e il volume della voce possono aiutare a smorzare l’aggressività e a contestualizzare la situazione: la stessa identica frase, detta sorridendo con le mani in grembo, sortisce un effetto completamente diverso se la dico alzandomi in piedi, urlando e puntando il dito addosso al mio interlocutore. Questo è ovvio, direi lapalissiano. Ma c’è qualcosa di più sottile, ed è insito nell’algoritmo: la maggior parte della gente usa i social selezionando ALLA fonte le cose che vuole vedere. Per cui, in brevissimo tempo si troverà ad intrattenersi in uno spazio in cui tutto gli dà ragione e tutto corrisponde al suo pensiero e alla sua opinione. In breve, si sta intrattenendo con delle fotocopie di se stesso nella sua zona di comfort mentale. Per cui, non appena vede qualcosa di diverso, di inadatto, di insolito il suo cervello reagisce immediatamente mettendosi sulla difensiva. Questo meccanismo coinvolge anche gli amministratori, e l’accelerazione verso il depauperamento antropologico diventa incontenibile. E’ lo stesso meccanismo per cui i politici americani polarizzano il proprio elettorato: sono essi stessi polarizzati, inadatti e disabituati al confronto.
Fantasia?
Ci sono alcuni gruppi che mi hanno bannato senza che avessi violato alcuna regola. In due casi, ovvero “Milano Running” e “100 km di Passione”, avevo sempre e solo condiviso degli articoli. Saranno stati provocatori, saranno stati sgradevoli, ma sicuramente non posso essere accusato di non argomentare le mie posizioni, potevano dare fastidio a qualche amico, a qualche potentato, ma lungi dal suscitare una discussione, questa viene falcidiata alla base, selezionando in continuazione i contenuti e le persone stesse. Per cui, ovviamente, quelli che restano la pensano allo stesso modo, sono delle fotocopie di uno stereotipo.
Tempo altri dieci anni, quando ci incontreremo alle gare dopo esserci conosciuti sui social, ci prenderemo a revolverate. E quando il magistrato ci interrogherà faremo fatica a spiegargli perché abbiamo sparato.
Questa voglia di non vedere cose che non ci piacciono, di non confrontarsi, questa accezione negativa della parola polemica (che è la base stessa della nostra democrazia), questo continuo bloccare ed eliminare le persone che ci correggono e ci mettono in difficoltà porta a una totale perdita di attitudine al confronto che cela mostri paurosi, e può minare alla base la nostra attitudine democratica e le nostre stesse libertà civili.
Semplicemente perché stiamo usando male uno strumento.
Per saperne di più: “Io, la corsa e Facebook, una storia di ordinario disagio dal mondo social-running”, 249 pagg, ed Albatros 2019.