La New York di Orlando Pizzolato

Ciao Orlando, raccontaci come ti sei avvicinato alla corsa.

Mi sono avvicinato alla corsa per un motivo pratico, ovvero perché i miei genitori non avevano la patente. La domenica mi toccava stare a casa, mentre i miei coetanei, allora avevo quattordici anni, uscivano. Allora mi sono iscritto alla Piovene Rocchette, la società del mio paese che, tra le varie attività, aveva la sezione del podismo, così la domenica la passavo alle gare con i miei compagni. Oltre a fare sport, coltivavo amicizie, e potevo uscire dal contesto del mio paese, visitando altri posti.

Hai vinto la maratona di New York due volte consecutivamente, nell’84 e nell’85, che differenze ci sono tra questi due successi?

La mia prima vittoria a New York fu completamente inaspettata. In quell’anno la mia carriera era a un bivio, avevo avuto la possibilità di partecipare alle Olimpiadi di Los Angeles, sia nei 10.000mt che nella maratona, ma non ottenni i risultati richiesti dalla federazione per essere convocato. A quel punto dovevo decidere se proseguire da amatore, o provare ancora a inseguire i miei sogni. Dopo una primavera sottotono, in estate ho avuto un moto di orgoglio e ho cominciato ad allenarmi in modo più specifico, così con una maggiore consapevolezza nei miei mezzi, partecipai alla maratona di New York. Ero un outsider, in quanto non comparivo tra i primi quindici atleti accreditati al via. Quel giorno tutto è andato per il verso giusto, a cominciare dal clima: per me, che mi esprimevo bene con il caldo, quei 26 gradi in una domenica di fine ottobre furono un regalo graditissimo.

Il successo del 1985 invece fu una prova di forza, condussi una gara autoritaria, non ero più uno sconosciuto e gli avversari stavano molto attenti alle mie mosse, fui bravo anche a gestire le energie nervose.

Torni a New York tutti gli anni, come sono cambiate sia la città, che la maratona?

Tutte e due sono cambiate tantissimo, è incredibile constatare come una città già all’avanguardia si sia ulteriormente modernizzata, ma è così. Per esempio, un tempo se andavi a Little Italy, potevi trovare le botteghe degli artigiani, a gestione familiare.

Così è anche per la maratona, un tempo la gestione dell’evento si poteva definire “familiare”, all’occorrenza avevi a disposizione precisi referenti, come quelli che puoi trovare in una bottega artigianale. Oggi i riferenti sono inavvicinabili, fanno parte di una organizzazione colossale, strutturata in modo piramidale. Tutto si è ingigantito, la maratona è l’atto finale di un business enorme. Non dico che questo sia negativo, ma certamente rispetto ai miei tempi, ha perso un po’ di fascino.

Nel tuo palmarès c'è anche un argento ai campionati europei del 1986, a Stoccarda, preceduto da Bordin, che ricordi hai di quella gara?

Ricordo che è stata una bella gara, anche se alla fine non mi ha visto vincitore. L’ho corsa bene, con autorità, poi chiaramente le gare si possono vincere e perdere, non è che detto che sei fai una bella prestazione riuscirai sicuramente a vincere. Quel giorno non riuscii a staccare Bordin, che mi ha battuto in volata. Tutti e due abbiamo giocato bene le nostre carte, ma la mano vincente è stata la sua.

Quali sono i motivi principali per cui, soprattutto a livello amatoriale, il podismo ha avuto una così poderosa crescita negli ultimi 15 anni?

La corsa è uno sport strano, l’appagamento e la soddisfazione arrivano principalmente dalla fatica che si fa. Man mano che corri, e fai progressi, aumenti il chilometraggio, migliori le prestazioni, fai sempre più fatica e conseguentemente sei sempre più soddisfatto. Questo per quanto riguarda i podisti che fanno qualche gara. Ci sono poi quelli che non sono tesserati per alcun gruppo, e corrono semplicemente perché si sentono meglio. Inoltre la corsa oggi è diventata un ottimo pretesto per viaggiare, non bisogna assolutamente trascurare questo aspetto.

Secondo te perché, a fronte di questo importante serbatoio di amatori, fatichiamo a trovare atleti che possano primeggiare, soprattutto in campo maschile?

Il problema è che tutti questi amatori, dovrebbero portare i propri figli a correre, non c’è continuità generazionale nella pratica di questo sport, spesso ci si avvicina troppo tardi. Si dovrebbe partire dalle scuole, si dovrebbe fare un’ora di attività sportiva al giorno, non alla settimana! Per il benessere dei ragazzi, e per incrementare il bacino di praticanti delle varie discipline dell’atletica, ma non solo. Mi piacerebbe che si potesse fare come negli Stati Uniti, dove lo sport è una parte fondamentale dell’educazione dei ragazzi, dove le scuole hanno strutture per le più svariate discipline sportive. Qui da noi genitori iperprotettivi spesso chiedono l’esonero da quell’unica ora di ginnastica, da svolgere in una palestra che, quando c’è, è da dividere con altre tre classi.

Cosa non ti piace della corsa, oggi?

Qualche tempo fa lessi un articolo su Repubblica, che titolava “l’importante è sfinire”. Era un articolo sui podisti che corrono moltissime maratone ogni anno. Ognuno può fare quello che vuole, se ha voglia di farlo, e se è in grado, ma bisogna stare attenti all’integrità del proprio fisico, perché, soprattutto se sei un amatore, non ha senso logorarsi in questo modo, anche perché gli infortuni sono dietro l’angolo. Già chi ha avuto una carriera di buon livello, a volte, è costretto al ritiro per problemi fisici, figuriamoci chi pratica questo sport per diletto.

Per chiudere, ci sono altri sport che segui, oltre all’atletica?

Mi piace il ciclismo, perché è uno sport affine alla corsa, poi il nuoto che è una disciplina molto tecnica. Seguo il tennis, sono tifoso di Djokovic, inoltre anche se non è un atleta nel senso stretto del termine, ammiro molto Roberto Bolle, fa cose straordinarie, potrebbe tranquillamente essere un ginnasta.