La coscienza del runner

Dice Gattoscrivente, di Carlo Esposito

Sul numero di ottobre di Runner’s World è apparso un interessantissimo sondaggio, riguardante preoccupazioni e aspirazioni dei runners al tempo del Covid, realizzato da Almostthere, società che si occupa di servizi nel mondo dello sport.

Per me che mi occupo spesso di dinamiche delle popolazioni, e quindi mangio statistica a colazione tutti i giorni, vedere finalmente un sondaggio e un’analisi dei dati fatta così bene relativamente al mondo running, è una bella boccata di ossigeno. In genere siamo abituati a sentir parlare di aria fritta e retorica sciocca, personaggi improbabili affermano di conoscere le “tendenze” e fanno predizioni che manco Nostradamus, ma non è mai dato di sapere su quali basi; stavolta finalmente abbiamo a che fare con dei contenuti. Lo sport, non dimenticatelo mai, è la cosa più importante delle cose meno importanti della vita, ed è un vero peccato che quasi sempre la comunicazione in materia sia affidata a un branco raffazzonato e improvvisato.

Per una volta, abbiamo una mente scientifica e analitica al lavoro.

Il campione è statisticamente significativo, e correttamente suddiviso per categorie.

Ne viene fuori che oltre il 60% del campione ha partecipato nel 2019 ad almeno 5 eventi organizzati. Le distanze preferite sono 10 km e 21 km, che messe insieme sono quasi i 2/3 del campione. Ovvero, NON è un’attività occasionale, ma una pratica assidua, che comporta un pesante investimento personale di tempo, energie e non da ultimo, di denaro.

Interrogati sul rientro alle gare, i runners sono piuttosto compatti nell’affermare che si sentirebbero sicuri a partecipare a un evento podistico in Italia, mentre invece lo stesso non vale per le gare all’estero.

E che, udite udite, la maggior preoccupazione, in caso di rientro alle gare, è la possibilità di contagio.

Si impongono a questo punto alcune riflessioni.

La paura del contagio, associata a una grande voglia di tornare a gareggiare in Italia, disegna un runner tipo molto diverso da quello traspare dalla stampa sportiva e dai milioni di bloghettini e di gruppi social. Ovvero, nel desiderare un ritorno, sia pur parziale, alla vita sportiva e agonistica di un tempo, è timoroso del nemico invisibile, come ci si aspetterebbe da qualsiasi persona adulta, e consapevole del rischio, pertanto disponibile ad adottare tutte le pratiche necessarie al suo contenimento.

Ovvero, sembra essere RESPONSABILE, non scalmanato, arrogante, negazionista, strafottente di qualsiasi regola.

Sarebbe interessante fare una ulteriore distinzione: ovvero, i risultati di questo sondaggio si riferiscono ai runners SINGOLI, ovvero coloro che corrono per passione e per stare con se stessi o ai branchi di selfisti linguacciuti, dediti alla peggiore retorica dell’appartenenza, che non sono capaci di correre nemmeno mezzo km se non sono in (troppo) folta compagnia?

Insomma, per tutta l’estate 2020 abbiamo assistito a diversi sconci organizzati con argomentazioni tra le più farlocche: sembrava davvero che i runners in blocco fossero una banda di irresponsabili senza alcuna paura del contagio e consapevolezza del rischio.

Ma a quanto pare, come al solito, fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce. Oppure, semplicemente, interrogati singolarmente, lontani dagli scalmanati sobillatori di gruppo, dagli organizzatori improvvisati e caciaroni, i runners rispondono con un cervello pensante, autonomo e non risucchiato nel baratro della martellante propaganda di coloro che non vedono l’ora di tornare a guadagnare intercettando il movimento podistico, e per farlo sono troppo spesso pronti ad abdicare frettolosamente e totalmente in materia di etica e di morale.

Nel ringraziare Ippolito Alfieri, fondatore e AD di Almostthere per aver condiviso con noi i risultati della ricerca, auspichiamo che sia solo una prima puntata, che ci saranno ancora “fotografie” altrettanto precise del fenomeno social-running, in una fase di cambiamenti epocali.

Perché su una cosa siamo tutti d’accordo: questa pandemia, anche quando sarà finita, segnerà uno spartiacque, ci sarà per molti anni un “prima” e un “dopo”. Ed è sempre un privilegio raccontare la storia, mentre se ne dipana la matassa sotto i nostri occhi.