
Il mondo dell'ultramaratona, da alcune settimane in subbuglio, partorisce oltre a grandi polemiche, fortunatamente anche grandi atleti. Nel mio personalissimo Olimpo, tra quelli che negli ultimi quindici anni hanno rappresentato il nostro paese nel mondo in questa disciplina, mancava all'appello solo Ivan Cudin, dopo che per la mia penna erano già passati Giorgio Calcaterra e Marco Bonfiglio. Eccolo allora Ivan, in una intervista che spazia dalla corsa, alla famiglia, ai regolamenti fino al futuro prossimo.
Ciao Ivan, quando ti ho chiesto di concedermi questa intervista ti sei definito un prepensionato delle ultramaratone, perché?
Semplicemente perché tre anni fa ho deciso di lasciare le ultramaratone per dedicare il giusto tempo alla famiglia e al lavoro. Poi da un paio d'anni soffro anche di problemi alla schiena, quindi probabilmente la decisione presa nel 2016 ha anticipato solo di un anno quella che successivamente sarebbe stata una scelta obbligata.
Come hai iniziato a correre?
Nel 1993 ebbi un serio incidente durante una partita di calcio, conseguentemente per sei anni non praticai più alcuno sport. Nel 1999 a seguito di alcuni esami, mi venne riscontrata un principio di ipertensione arteriosa, così il medico mi consigliò di fare attività sportiva per escludere l’uso di farmaci. Scelsi la corsa e fu amore a prima vista.
Hai vinto tre volte la Spartathlon, una gara che sarebbe eroico anche soltanto terminare una sola volta nella vita. Come si raggiunge un così elevata competitività in gare così sofferte?
Non sono mai stato un atleta di grande qualità, ma semplicemente un amatore che adora correre. Inizialmente partecipavo esclusivamente a manifestazioni non competitive, la corsa per me è sempre stata divertimento puro. Poi casualmente ho partecipato alla mia prima ultramaratona e mi è piaciuto molto l’ambiente, popolato da persone che condividevano una grande fatica e si sostenevano reciprocamente, così decisi che quello sarebbe stato il mio mondo. Negli anni successivi provai ad allenarmi in modo sistematico, e credo di essere riuscito ad ottenere il meglio che il mio fisico mi potesse permettere. Comunque il mio spirito è sempre rimasto quello di un atleta che adora la corsa, e che la vive con grande trasporto emotivo. Sicuramente è fondamentale una adeguata preparazione e molta consapevolezza dei propri limiti.
Il mondo della ultra sta vivendo alcuni mesi di vivaci polemiche riguardo ai più svariati temi: il doping, i mezzi in appoggio, i tagli di percorso. I temi sono reali, le polemiche forse un po’ strumentali, tu che ne pensi?
Premetto che non amo i social network, pubblico quasi esclusivamente per promuovere manifestazioni benefiche nelle quali ho una cieca fiducia, e uso le funzioni di messaggistica per mantenere i contatti con persone che ho conosciuto e che vivono lontano. Preferisco di gran lunga i contatti personali. Per questo motivo sono piuttosto estraneo a queste polemiche, anche se alcuni amici me ne parlano. Rispetto le idee di chiunque, per come sono fatto io, ascolto quello che mi dicono, mi faccio un’idea e poi prendo una posizione. Non sono mai provocatorio né tantomeno una persona che voglia far valere le proprie ragioni attraverso le offese. Detto ciò non mi piacciono i pregiudizi, la faziosità, gli atteggiamenti incivili e scorretti. Ognuno è libero di vedere le cose a suo modo, purché i propri giudizi siano rispettosi delle altre persone.
Venendo alla tua domanda, ti dico che io sono un purista, eliminerei i team di supporto. Amo vivere il contatto con la natura durante la corsa, parlare con i volontari ai ristori, cercando di fare il mio meglio senza aiuti esterni. Implementerei norme rigorose a riguardo, che portino alla squalifica di chi non si attiene alle regole. E’ sempre esistito chi taglia il percorso, ho assistito a molteplici episodi di questo tipo, dalle corse, alle tapasciate alle ultramaratone. Non ne capirò mai il motivo, in questo modo vengono meno sia le soddisfazione personali, sia il valore del duro impegno e della fatica per ottenere un obbiettivo. Lo ritengo semplicemente assurdo.
Riguardo al doping, è una scorciatoia anche quella, per chi cerca di ottenere risultati che vanno oltre alle proprie possibilità fisiche. Non ne comprendo l’utilizzo, perché come dicevo in precedenza, il bello di gareggiare è andare a caccia dei propri limiti e cercare di fare del proprio meglio. Negli anni in cui ero considerato un atleta di livello internazionale sono stato inserito nel noto protocollo ADAMS, ho avuto diversi controlli antidoping sia a domicilio che in gara, ed è assolutamente giusto che questi continuino ad essere effettuati sugli atleti élite, pur essendo particolarmente onerosi per la federazione internazionale. Credo che le singole federazioni ma anche il CONI, dovrebbero organizzare delle campagne di informazione e sensibilizzazione al riguardo, che permettano agli atleti di conoscere adeguatamente la normativa e le modalità del TUE (esenzione per uso terapeutico), che dovrebbe essere semplificato e reso di più facile utilizzo. Ovviamente un atleta che ha problemi di salute deve potersi curare e, quando la condizione fisica glielo permetterà, deve poter riprendere l’attività sportiva. Chi invece utilizza farmaci esclusivamente per migliorare le proprie prestazioni, dovrebbe essere radiato, non è un atteggiamento sportivo e corretto verso gli altri atleti.
A proposito, Marco Bonfiglio è tornato alle gare, hai avuto modo di parlargli? Vuoi dirgli qualcosa?
No, non ho avuto modo di sentirlo, ho parlato di lui esclusivamente con amici comuni. Spero innanzitutto che i suoi problemi di salute si siano risolti. Sono convinto che nel suo caso non ci fosse alcun dolo, esclusivamente superficialità e ignoranza dei regolamenti antidoping. Gli auguro di ritrovare la giusta serenità e di poter vivere la corsa allo stesso modo in cui la viveva prima del provvedimento disciplinare.
Chi consideri oggi l’ ultramaratoneta più forte, in Italia e nel mondo?
Parlando di ultramaratone superiori alle 100 miglia credo l’atleta più forte al mondo sia Camille Herron. Puó ancora migliorare, ma è colei che ha espresso il miglior potenziale nel biennio passato. Tra gli uomini, se riescono a migliorare la gestione in gara, Aleksandr Sorokin e Ivan Penalba Lopez possono ottenere risultati di assoluto livello. In Italia Enrico Maggiola è qualcosa di più di una promessa, ma credo che anche Marco Bonfiglio possa fare ancora dei grandissimi risultati almeno fino alle 100 miglia.
Sempre più amatori si avvicinano alle ultra, ma forse con troppa improvvisazione ancora, non credi?
Nella società odierna sempre più persone hanno bisogno di sentirsi al centro dell'attenzione, sentono la necessità di ricevere elogi da parenti e amici. Credo sia un sinonimo di insicurezza, bisogno di ricevere consenso e sentirsi stimati e considerati. Per questo enfatizzano ad amplificano le proprie imprese anche quando queste hanno un valore modesto. Molti di noi utilizzano la corsa a questo scopo, ma questo vale anche per atleti che praticano altri sport. A mio avviso questo atteggiamento non permette di dare il giusto valore alle corse, non permette di viverle con il giusto entusiasmo e di metabolizzarle nei tempi giusti. Molti ultramaratoneti non hanno ancora concluso una gara e già pensano alla successiva, o al post che debbono scrivere per ottenere più apprezzamenti, invece di godersi le emozioni date dalla corsa. Personalmente credo che non sia il modo giusto per vivere la corsa e la tendenza ad eccedere, a fare un numero esagerato di gare, mette a rischio la propria condizione fisica. E’ fondamentale prepararsi adeguatamente e raggiungere un elevato grado di consapevolezza e ragionevolezza nell'affrontarle. Ho assistito almeno a una decina di episodi in cui atleti che hanno spinto troppo oltre il proprio fisico, hanno rischiato seriamente danni permanenti.
Che progetti hai nel tuo futuro, riguardo la corsa e non?
Grazie al mio rapporto speciale e forse un po’ alternativo con la corsa, abbandonare le ultramaratone e le gare competitive non è stato per nulla un trauma. Correre continua ad essere la mia modalità preferenziale per un contatto privilegiato con la natura, qualcosa che mi dà serenità. Sono una persona fortunata, ho una splendida famiglia, un lavoro che mi appassiona e tanti cari amici. In particolare ho un debito verso la mia famiglia, che mi ha permesso di dedicare tanto tempo alla corsa e ora debbo restituire questo prestito a rate. Continuo a correre per star bene e a vivere questo come una fortuna, uno splendido regalo, che spero di poter godere ancora a lungo, anche se in modo diverso rispetto a qualche anno fa. Le gare non le ho mai misurate in base alla distanza percorsa, il tempo impiegato o la posizione in classifica, ma semplicemente con il livello di gioia e serenità che mi hanno donato. Come ultimo desiderio, mi piacerebbe nei prossimi anni andare a dire addio alle corse che mi sono rimaste più nel cuore, e avere la possibilità di salutare i tanti volontari con cui sono rimasto in contatto, ai quali tutti dobbiamo tantissimo perché ci permettono di fare quello che tanto ci piace.
