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Gli odiosi luoghi comuni sul nostro Paese, quelli buoni per ogni sala di attesa, per le chiacchiere da bar, dal parrucchiere o dal salumiere sono come le leggende metropolitane, che si tramandano in generazione in generazione, modificandosi nella forma e nella sostanza, conservando però una verità di fondo. Politica e calcio da sempre si offrono quali bocconi succulenti per i cannibali del chiacchiericcio populista: in una ideale top ten che il trascorrere del tempo e l’evoluzione dei tempi hanno periodicamente modificato e aggiornato, esse continueranno ad occupare, almeno per quanto riguarda l’universo maschile, i primi due posti. E nonostante alcuni di noi cerchino di tenersi lontani da questi riti nazionalpopolari, accadono al momento giusto fatti grotteschi e contraddittori che ci tirano la giacchetta, coinvolgendoci inevitabilmente.
Si chiamano remake. In genere si tratta di film piuttosto bruttini che ricalcano titolo e trama di una vecchia pellicola di successo, incassano molto e artisticamente non valgono nulla. Questa volta il remake è la brutta copia di un film già brutto in origine. Dopo ciò che era accaduto nel 2013, quando lo stallo politico “costrinse” i grandi elettori a recarsi in pellegrinaggio dal presidente uscente Giorgio Napolitano, pregandolo di restare al Quirinale ancora per qualche tempo, speravamo di non dover più pagare il biglietto per assistere a uno così scialbo spettacolo. Invece ieri, 28 gennaio 2022, abbiamo accusato l’onere della replica.
Esattamente come 9 anni fa il Governo in carica non è espressione della volontà degli elettori alle ultime elezioni politiche. Esattamente come 9 anni fa bisognava trovare una soluzione per il Colle che non costringesse al ritorno alle urne, eventualità che avrebbe restituito risultati disastrosi per quasi tutti i partiti. Come 9 anni fa, il candidato che potendo contare sui voti della propria coalizione, sarebbe dovuto diventare il nuovo Presidente viene impallinato dai suoi stessi sodali: allora fu Romano Prodi, oggi Elisabetta Casellati. Come 9 anni, il Presidente uscente che dichiarava impossibile la propria rielezione, cambia idea e accetta il reincarico.
La prima domanda che mi viene naturale porre è: chissà se avremo mai un politico con una parola sola? Non discuto Sergio Mattarella, potrebbe fare il Presidente della Repubblica a vita, è l’immagine stessa di quella carica. Che tra l’altro, al netto del chiasso fatto nelle ultime settimane da tv e giornali, è molto meno importante di quanto viene fatto credere alla gente. Discuto una classe politica deludente fino limiti che non si pensava si potessero raggiungere. Violare per la seconda volta in meno di un decennio ciò che intrinsecamente suggerisce la Costituzione, ovvero che un mandato settennale servirebbe a scongiurare un secondo giro di giostra, in nome della propria sopravvivenza politica, non è un gesto compiuto in nome del popolo italiano, ma in nome e per conto dei propri interessi personali.
Matteo Salvini è il leader di centrodestra più singolare di tutta la storia della politica. A bocce ferme solletica la pancia della gente comune con la piuma della demagogia, ma al dunque si dimostra a disposizione di chi può venire incontro alle sue esigenze. Un tempo scatenava grasse e gustose risate, ora si ride per non piangere. Dal 2018 a oggi ha da prima lasciato gli alleati, quale capo della sua coalizione, maritandosi con i 5 Stelle perché era l’unica opportunità per lui di andare a comandare. Poi dopo un anno ha rotto il matrimonio credendo di fare cassa alle urne, invece ha spinto il Movimento tra le braccai del Pd, dando così, seppur indirettamente, vita al Governo giallorosso.
Ora, dopo essere tornato a casuccia con la coda tra le gambe, usa quella stessa coda per assestare un colpo che potrebbe anche aver rotto definitivamente il rapporto con gli alleati (ma stiamo parlando della politica italiana, tutto si risolve con le promesse giuste) accordandosi col centrosinistra per rieleggere Mattarella. D'altro canto né Conte, né Salvini, Né Letta e nemmeno Renzi, avevano alcuna intenzione di infrangere i lori partiti contro gli scogli di elezioni anticipate. Missione compiuta quindi. Fingendo di voler scongiurare questo teatrino, periodicamente c’è qualcuno che promuove, per il futuro, l’elezione diretta del Capo dello Stato, ma ciò non accadrà mai per due motivi molto semplici: è un gioco di ruolo e di ruoli troppo importante all’interno dei palazzi del potere, e in secondo luogo perché il popolo italiano praticamente le diserterebbe.
Ma c’è anche il calcio, come potrebbe esimersi, a dare ulteriore lustro al partito dell’incoerenza nostrana. Solo una settimana fa le società esprimevano contrarietà e delusione per la scarsa considerazione espressa dal Governo, che metteva a disposizione del comparto sport soltanto 100 milioni di euro in ristori, da dividere tra tutte le federazioni. Al contempo grandi pressioni vengono esercitate affinché gli stadi possano riaprire al 50 percento della capienza di pubblico. Bene, nel giro di qualche giorno, la foglia di fico cade, così dopo un’estate che prometteva l’inizio di un’era di relativa austerità e maggiore sostenibilità, molti tra i maggiori club hanno firmato idealmente quintali di cambiali, per l’acquisto di giocatori sul mercato di gennaio. Non è tutto, da giornali e tifosi piovono critiche su chi cerca restare competitivo tenendo i conti in ordine. Perché si sa, i conti in ordine non fanno vendere i giornali, né gli abbonamenti.
Aggiungiamo infine una postilla, restando in tema calcio. Sempre nel corso di questa curiosissima settimana, lo stage della Nazionale di Mancini ha visto tra i suoi convocati Joao Pedro, attaccante del Cagliari per il quale tra le pieghe dell'albero genealogico è stato trovato un qualche avo di italica origine, e l'ormai ex giocatore Mario Balotelli. Mosse incomprensibili dettate dalla disperazione di un CT che fino ad ora, nel bene e nel male, sembrava aver capito la qualità stoffa sua disposizione e su quella, senza salti mortati e carpiati, aveva deciso di lavorare, Ora, con i piedi sul bordo del baratro, rappresentato da quella che sarebbe la terza mancata partecipazione ai Mondiali per l'Italia, la seconda consecutiva, preme il pulsante del panico mandando questo bruttissimo segnale. Sembra di vedere il Titanic che punta dritto in direzione dell'Iceberg. Andrà tutto bene... o forse no.