
Non ci pensavo stamattina, quando ho aperto la finestra della mia cucina. Quando da fuori sono giunti rumori ormai da troppo tempo sopiti, mi sono ricordato che oggi era il fatidico 4 maggio. Abito in una via secondaria, che però affaccia su un’arteria di grande transito. Quello era il rumore provocato dal passaggio di un maggiore numero di veicoli, lungo la strada. Non avrei mai pensato di dirlo, in riferimento al traffico, ma sembrava proprio il rumore della vita. Era come un cuore che tornava a battere, come l’impercettibile movimento di una mano, immobile da molto tempo.
Per molti giorni quella strada, che somiglia a migliaia di altre in tutto il nostro Paese, è sembrato il letto di un fiume in secca, attraversato soltanto dal vento che graffiava la sua superficie polverosa. Ponendo marcati accenti, in qualche modo, sul miserabile silenzio del vuoto. Facendo percepire la distanza come un male senza alcuno scampo. Sembra incredibile come nella disperazione che sotto sotto abbiamo provato tutti, e che tutto sommato continuiamo a provare ancora, pur negandolo a noi stessi, anche il traffico diventi poetico. Quasi un suono salvifico, venuto in soccorso di anime in pena.
Naturalmente so bene che bisogna tenere i piedi per terra, non cedere ai facili entusiasmi e far prevalere il buonsenso. Primo comandamento: ragionare. Ma siamo essere umani per la miseria. Carne, ossa e cuore. Non solo senzienti ma anche passionali. Questo è solo il primo passo in quella che sarà la lunghissima rincorsa verso la normalità, ma goderselo per qualche istante non sarà poi così grave.
Ce lo siamo detti l’un l’altro tante volte, in questi mesi, come la parola normalità sia solitamente una catena a cui non ci piace essere legati. E che la parola libertà è stata spesso una piuma al vento, a cui non facevamo più caso. Sono cose importanti, lo sappiamo, l’abbiamo sempre saputo, ma non abbiamo avuto o potuto prenderci il tempo di pensarci. Ora ne stiamo riscoprendo il significato, e per un po’ ne tratterremo il vero valore. Poi smetteremo nuovamente di avvertirne il peso specifico. Così come faremo con la riscoperta unità tra popoli, classi sociali e persone. Valori che dovrebbero appartenerci non per scapoli di vita, ma che dovrebbero essere il fondamento delle società moderne. Credo che sarà normale anche quello. Smarrirsi nuovamente nella routine, dare e darsi per scontati, prima che un nuovo ostacolo ci metta alla prova, prima o poi. Riscoprendoci nuovamente ad ambire un cambiamento che non si completa, almeno non del tutto, come crediamo.
La consapevolezza di questo, è importante. Siamo essere umani per la miseria. Carne, ossa, cuore. E imperfezioni. Ma vivi, ancora una volta, da oggi.