Il graffio scrivente

Dice Gattoscrivente di Carlo Esposito

No, non è andato tutto bene, e la corsa non è uno sport individuale.

No, non è andato tutto bene. Non a Resia, non a Pescara, non a Gagliano del Capo, non a Pisa.

Bloghettini si affannano a dirci che le misure anti-covid sono state rispettate, che correre in sicurezza si può, ma la realtà mostrata inverecondamente dalle tante, troppe immagini postate sui social è ben diversa.

E’ oggettivamente impossibile correre in sicurezza. Oltre che inopportuno.

I partecipanti non riescono a fare a meno di abbracciarsi e fare le foto di gruppo, rigorosamente senza mascherina, rigorosamente assembrati in folti, foltissimi gruppi. E questo da mesi. A quanto pare no, la corsa NON è uno sport individuale. E il bello che non riescono a fare a meno di pubblicarle sui social.

Si sa, l’italiano medio è indisciplinato e il runner è una delle categorie più indisciplinate in assoluto, complice una deregulation durata decenni, in nome del “fare avvicinare la gente (si scrive così, si legge CLIENTI) alla corsa”. Ma siamo sicuri che sia solo colpa loro?

Innanzitutto, credo che ci siano delle responsabilità collettive anche da parte delle organizzazioni: se vediamo premiazioni senza distanziamento, protocolli del tutto ignorati, organizzatori che si prestano a selfie di gruppo senza mascherina, abbracciati e sorridenti, credo che siamo in presenza di un corto circuito etico e morale che viene da molto lontano.

Del resto, lo stesso Presidente della Fidal, Alfio Giomi, non ha perso occasione di dare un pessimo esempio facendosi fotografare abbracciato a diverse persone, tutte rigorosamente senza mascherina, in occasione della presentazione a Napoli di un libro su Pietro Mennea, lo scorso Luglio.

Ma ci sono responsabilità a mio parere molto più pesanti proprio da parte della grande e piccola stampa sportiva. Per mesi hanno soffiato sul fuoco del rientro alle gare, proponendo iscrizioni agli eventi più strampalati, proponendo una ridicola retorica dell’appartenenza che spesso sfociava nel più infantile vittimismo.

Per mesi hanno Zangrillato razzolando un po’ ovunque, affermando che il virus ormai era poco più di un banale raffreddore e che pertanto era ora di forzare la mano a un governo debole, agli enti locali alle prese con una difficile campagna elettorale, nonchè delle federazioni in piena crisi di legittimità e di cassa.

Hanno raccontato favole su un ritorno alla normalità , continuando a dire bugie e dando pessimi esempi, nemmeno si sono presi il disturbo di selezionare delle foto non scandalose da mettere su articoletti talmente sconci e in ginocchio, da imbarazzare perfino un servo della gleba al tempo della Russia zarista.

Adesso che, dopo essersi addormentati nel paese dei balocchi, gli italiani si risvegliano ancora una volta con le orecchie d’asino, che scrutiamo con terrore i numeri crescenti della seconda ondata epidemica in corso, questi biechi personaggi hanno già iniziato a correggere il tiro. No, non ci si contagia mica alle gare, anche se non state rispettando nessuna delle dannatissime regole,  piuttosto guardate i mezzi pubblici. Vietati gli sport di contatto? E accidenti, ma ai ragazzini questo virus non fa assolutamente nulla, tuona il Grande Bufalaro del Podismo Coviddian-vittimista. Che però in meno di ventiquattr’ore viene smentito dall’atroce notizia che ci sono dei quindicenni intubati a Napoli. Tra poco, molto poco, inizierano con: e allora i tabaccai? Oppure con “l’odio verso i runners”.

Perché lo fanno? Per soldi, ovvio. Dei runners e della passione non gliene frega assolutamente nulla. Non vedono l’ora di tornare a mungere la vacca, anche se è stremata. Questi campano con le foto, facendo gli speaker alle gare, facendo favori per poi elemosinare banner pubblicitari sui propri bloghettini, leccando culi, in modo da poter entrare magari nell’ufficio stampa di questa o quella manifestazione, da ricevere qualche piccola sponsorizzazione o proposta di collaborazione da parte di rivistucole sempre più decadenti, indecenti, auto referenziali, volte al patafiocchismo più becero: per fare ciò devono essere in grado di dimostrare di  essere sufficientemente asserviti da non disturbare i manovratori, gli spacciatori di doping, gli sponsor, e i vari potentati occulti. E allora vai con la bufala, con l’aggressione, con il lecchinaggio, la mistificazione, la minimizzazione, l’infantilismo.

E nessuno si stupisce?

Siete davvero sicuri di voler lasciare questo sport in mano a questa gentaglia? Siete sicuri che non saranno capaci di fare peggio? Siete sicuri di divertirvi ancora, a codeste gare? O semplicemente andate avanti per inerzia, abitudine, tossicodipendenza, solitudine?

Per fortuna i numeri mi danno ragione: questi eventi sono solo dei giganteschi flop, non fanno nemmeno la metà degli iscritti che facevano in era pre-Covid, se va bene. E questo perché la maggior parte dei runners è seria, pacata, ragionevole. Però mi piacerebbe non vederla più silenziosa questa maggioranza ragionevole che pensa col proprio cervello e che sa cosa rischia. Mi piacerebbe vederla indignata, furiosa, stufa. Mi piacerebbe che ci fossero innumerevoli voci a dire, anzi a urlare a questa gente: MA CHE DIAVOLO DICI? MA NON PROVI UN PO’ DI VERGOGNA? O ALMENO UN PO’ DI PAURA?

E badate bene, avere paura, in questo momento, è la cosa più intelligente che si possa fare.

La paura, diceva il mio Maestro, ti fa fare la cosa giusta, e porti a casa il risultato.

-“Maestro, e gli altri?”

-“Gli altri vanno al tappeto. Quasi sempre all’ospedale. Non di rado al cimitero.”