Francesca Conte: la scienza al servizio dello sport.

Francesca Conte ha seguito il cuore, poi con la ragione ha trasformato la sua passione nel proprio lavoro. Amante dello sport ed ex giocatrice di basket, dopo la laurea in medicina e chirurgia ha scelto la specializzazione in medicina dello sport. Attualmente è il medico delle Nazionali giovanili di hockey maschile e di basket femminile, in precedenza è stata anche medico della Pallacanestro Treviso.

Salve Francesca, ci parli del suo percorso di studi.

Mi sono laureata in medicina e chirurgia nel 2009, nel 2010 ho iniziato il percorso di specializzazione in medicina dello sport all’ospedale di Padova. Ho potuto fare anche due esperienze formative all'estero: prima della laurea sono stata in Spagna, grazia al Progetto Erasmus, poi mi sono recata in Australia per un periodo di ricerca. Successivamente ho frequentato numerosi altri corsi, tra i quali un master in cardiologia dello sport.

Lei é medico della Nazionale di hockey maschile e di quella di basket femminile, sempre in ambito giovanile. Come si svolge la sua attività all’interno di queste federazioni?

Si svolge principalmente durante i raduni estivi che sono piuttosto lunghi, possono durare anche fino a un mese e mezzo se sono svolti in preparazione a un campionato europeo. Poi ci sono anche dei raduni intermedi effettuati durante la stagione, solitamente prima di Natale e a ridosso della primavera, che servono per monitorare lo stato di forma dei ragazzi e delle ragazze, ma anche per inserire nuovi elementi nelle fila azzurre.

Quale iter hai dovuto seguire per divenire medico di queste due Nazionali?

Sinceramente ho soltanto inviato una email col mio curriculum, tutto qui. Essendo molto appassionata di sport e avendo avuto una precedente esperienza come medico della squadra di basket di Treviso in Serie A, ho inoltrato la mia candidatura presso varie federazioni: alcune non mi hanno risposto, altre hanno gentilmente declinato, fino ai responsi positivi avuti dal basket e dall’hockey.

Quali sono le differenze, dal punto di vista della sua professione, tra basket e hockey?

Moltissime. Innanzitutto bisogna distinguere tra professionisti e giovanili. Per questi ultimi, almeno fino all’età di 16 anni, la parte ludica nella preparazione è preponderante. Detto questo, sono tutti e due sport di contatto, l’hockey lo è molto di più ma gli atleti giocano con molte protezioni, quindi vi sono numerose contusioni ma generalmente niente tagli. Nel basket sono molto comuni gli infortuni alle articolazioni: dita, spalle, caviglie ecc.

Ci sono atleti che la fanno tribolare, che fanno fatica a seguire i consigli medici?

Da questo punto di vista è più facile lavorare con un professionista. Quest’ultimo considera il suo corpo come uno strumento di lavoro, vuole conservarlo in salute e al più a lungo possibile, quindi pone molta attenzione ai consigli del medico, in collaborazione con fisioterapista e preparatore. Coi ragazzi è più difficile, bisogna essere diplomatici con gli atleti ed essere in sintonia col resto dello staff, a partire dall’allenatore. Inoltre bisogna essere un po’ psicologi, capire quando uno di loro starebbe fermo per una cosa di poco conto, e in quel caso lo devi spronare a scendere in campo, oppure saper fermare chi giocherebbe anche con delle fratture.

Le hanno mai chiesto di far giocare un atleta a tutti i costi?

(attimo di esitazione) No, a tutti i costi no per fortuna, però è indubbio che nelle partite più importanti si cerca in tutti i modi di schierare gli atleti migliori. Magari non nell’universo giovanile ma più che altro nel professionismo, comunque sempre in accordo con l’atleta, con l’allenatore e la società. Per fortuna ho avuto modo di lavorare all'interno di staff competenti e giudiziosi, abbiamo saputo valutare bene caso per caso.

Pensa di aver preso mai, in buonafede, una decisione sbagliata verso un atleta?

A volte me lo chiedo. Soprattutto all’inizio della mia carriera mi facevo forse un po’ influenzare da chi aveva maggior esperienza, facendomi aiutare a prendere le decisioni più complicate. Ora ho le spalle abbastanza larghe per fare da sola le scelte necessarie, provo a fare il meglio possibile, ma non c’è sempre un giusto o sbagliato. È un compito difficile il nostro.

Oggi la medicina è sempre più parte integrante della preparazione atletica: quali sono le aree ancora inesplorate?

Io credo che si possa fare ulteriore ricerca per quanto riguarda l'alimentazione. Ci sono margini per arrivare alla corretta dieta per ognuno, che aiuti a sentirsi bene, a infortunarsi meno, ad essere più performante. Cristiano Ronaldo è l’esempio più facile da seguire, lui è attentissimo alla propria alimentazione ed è una eccezione negli sport di squadra, infatti il tema è più sentito tra gli atleti che praticano sport individuali. Non che l’argomento sia trascurato, beninteso, ma vi è meno attenzione, si sente meno la responsabilità individuale quando si deve far fronte a una sconfitta. Nessuno dice cose del tipo «abbiamo perso perché abbiamo risposato poco, mangiato male...».

Oggi si fa sempre più uso dei big data per preparare gli atleti. Lei cosa ne pensa?

Credo siano molto utili. Ci permettono di fare raffronti tra uno sportivo e un altro, tra una stagione e un’altra. È possibile monitorare il livello di affaticamento di un atleta, di predire un overtraining e aiutano a prevenire gli infortuni. Credo che saranno sempre più utilizzati nello sport di alto livello. L’unico pericolo secondo me, è rappresentato dal fatto che avere a disposizione una mole di dati sempre più ampia potrebbe rendere complicata l’interpretazione dei dati stessi. Avere troppa scelta è un po’ come non averne affatto.

Un tempo gli atleti non erano seguiti così attentamente dal punto di vista medico, eppure abbiamo abbiamo avuto grandi sportivi e grandi prestazioni: quanto incide realmente la medicina dello sport sulla performance?

Moltissimo. Negli anni la rivalità tra gli sportivi e la conseguente competizione è andata sempre aumentando, oggi ci sono molti più atleti che praticano sport ad alto livello e per farlo è necessario seguire uno stile di vita corretto, dal punto di vista medico. Provate a guardare una partita di calcio di 30 anni anni fa, noterete sicuramente molte differenze rispetto a una partita dei giorni nostri. Sarebbe impensabile oggi ottenere grandi risultati senza il contributo della scienza, nella medicina ma anche nella preparazione atletica.

Con la medicina si possono creare anche atleti in laboratorio, attraverso il doping. Qual è la linea di confine, solo quella dei regolamenti?

No, entra in gioco certamente anche l’etica. Il regolamento della Wada dice che non si può agire in modo da manipolare la prestazione di un atleta. Questo atteggiamento è dettato non solo dalla lista delle sostanze proibite, ma da tutti quei comportamenti che non rientrano attualmente tra le azioni vietate ma che possono in ogni caso alterare le prestazioni. Chi fa sport sa quanto sia molto più appagante raggiungere un risultato attraverso il duro lavoro, ma laddove gli interessi economici si fanno sempre maggiori è più facile cadere in tentazione. Penso in ogni caso che per quanto riguarda gli sport di squadra il doping influenzi relativamente le prestazioni, credo sia più determinante negli sport di endurance.

Veniamo al tema alimentazione: un atleta con intolleranze o allergie ad alcuni alimenti, può venire penalizzato nella performance?

In un mondo perfetto per un atleta che è a conoscenza delle sue problematiche relative alle allergie ad alcuni alimenti, basta sostituirli con cibi più adatti a lui. Purtroppo spesso gli sportivi non lo sanno, questo può influenzare le prestazioni.

Come si pone in merito alla questione carne rossa e derivati del latte?

Seguo le linee guida dell’OMS, che raccomanda di mangiare carne rossa con moderazione. Ho seguito anche atleti vegani e vegetariani e siamo riusciti a sopperire tranquillamente alla mancanza di carne nella loro alimentazione. Sono contraria però a eliminarla dalla propria dieta prima dell'adolescenza. Per quanto riguarda i derivati del latte credo sia una questione soggettiva, se uno sportivo è abituato a ingerirli e non ha mai accusato disturbi non vedo perché proibirli.

E rispetto agli integratori? Sono davvero utili?

Anche qui ci sono da fare dei distinguo. Per gli amatori e dilettanti li sconsiglio, non servono. Anche nell'ambito delle Nazionali giovanili non li somministriamo. Al massimo sali minerali e solo durante le partite ufficiali. A meno che non si sia in presenza di carenze di vitamine, allora sì, diventano essenziali. Per i professionisti il discorso cambia: allenandosi con maggiore intensità e frequenza si rende necessario l'utilizzo di integratori, prevalentemente in periodi di forte carico atletico.

Per concludere, quali sport pratica lei, nel tempo libero?

Come si può immaginare non ne ho molto di tempo libero, comunque vado in palestra 2/3 volte alla settimana e quando riesco vado a correre, soprattutto d'estate. D'inverno invece faccio snowboard.

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