Franca Fiacconi: "Pace fatta con Maura Viceconte"

Franca Fiacconi, il lato femminile della medaglia d'oro, nella maratona. Anche se non ha avuto l'occasione di partecipare alle Olimpiadi, dove sicuramente avrebbe ben figurato, il suo palmarès è di tutto rispetto: vincitrice della maratona di New York nel 1998, oltre a due secondi posti e una terza piazza, seconda a Berlino nel 2000, vincitrice della Maratona Des Sables 2001, vincitrice a Roma nel nel 1998 e due trionfi ai Campionati Italiani, nel 1996 e nel 1998. Con la canotta azzurra, ha conquistato un argento alle Universiadi nel 1993. Insomma a conti fatti, il top della maratona italiana, tra 1996 e il 2000 e una delle migliori a livello internazionale.

Ciao Franca, parlaci dei tuo amore per New York, e in particolare per la maratona

Ci fu subito feeling tra me e New York, l’ho sempre considerata la mia seconda città. Frequentavo ancora l’università, quando partecipati per la prima volta alla maratona della Grande Mela, erano i miei esordi, io venivo dal mezzofondo e feci fatica ad accettare di passare alla maratona. Poi, dopo il secondo posto all’esordio assoluto, alla maratona di Roma nel 1989, mi accorsi che mi veniva “facile”, che era la distanza che prediligevo. Nel 1992, alla mia prima volta al via a New York, ottenni un ottimo dodicesimo posto. Così dall’anno successivo cominciai ad allenarmi più intensamente. All’inizio degli anni novanta la maratona era una distanza poco considerata, a livello femminile poi non ne parliamo! basta pensare che la prima edizione delle Olimpiadi, in cui si disputò anche la gara femminile fu nel 1984, a Los Angeles. L’idea generale, almeno qui in Italia, era che i maratoneti fossero mezzofondisti falliti, o a fine carriera.

Raccontaci della tua vittoria a New York

Il 1998 fu anno strepitoso. Vinsi la Roma-Ostia, la Maratona di Roma, in cui tra l’altro andai vicinissima a stabile il record italiano nonostante il percorso ondulato, e il Campionato Italiano a Torino. Poi venni convocata per il Campionato Europeo, ma mi ammalai una settimana prima della gara e ottenni soltanto un quarto posto, che era il meglio che potessi fare quel giorno. Mi ero preparata per vincere, e invece mi ritrovai con la medaglia di legno. Ero arrabbiatissima. Così decisi di andare a New York con un solo scopo: Vincere. Non mi interessava null’altro che il primo posto, se mi fossi resa conto di non poterlo raggiungere, mi sarei fermata, il piazzamento non mi interessava. Sono partita in testa comandando la gara fin da subito, e imponendo il mio ritmo alle altre. La mia avversaria diretta era la primatista mondiale Tegla Loroupe, che aveva già vinto a New York due volte, e che aveva un personale di ben otto minuti migliore del mio. Infatti il finale di gara fu un testa a testa tra me lei, la guardavo da dietro gli occhiali da sole, cercando di cogliere il minimo segno di cedimento. Quando mi accorsi che era effettivamente in difficoltà, decisi di attaccare, e la staccai. Mancavano ancora 4 km all’arrivo, li corsi a testa bassa, senza mai voltarmi a guardarla. All’altezza di Columbus Circle, sentii il boato dei tifosi italiani e mi resi conto che stavo vincendo. Dietro di me c’era il vuoto. Gli ultimi 500 mt praticamente volai, ridevo e salutavo tutti. Chiusi in 2h25’, stabilendo il nuovo record italiano, migliorandolo di quasi quattro minuti.

Nel 2018 sei tornata a correre a New York per celebrare il ventennale della tua vittoria

Già, lo scorso novembre, ci sono tornata con alcuni amatori di cui curo la preparazione. Hanno stabilito tutti il loro miglior tempo personale, io ho chiuso con un onorevolissimo 3h10’. La cosa che più mi ha emozionata è stato l’affetto della gente, lungo tutto il percorso c’erano miei tifosi, ho fatto tutta la maratona salutando il pubblico.

Niente Olimpiadi di Atlanta e di Sidney per te, nonostante in quegli anni tu fossi una delle migliori. Perché?

Nel 1996 al Campionato Italiano staccai il tempo minimo di qualificazione, ma da noi non si disputano i trials come negli Usa, la decisione finale spetta al tecnico, che scelse altre atlete che non avevano ottenuto i miei risultati. Ero arrabbiatissima, protestai, ma non ci fu nulla da fare. La corsa è fatta di tempi cronometrici, i quali non sono opinabili, non puoi asserire che una atleta che in precedenza ho staccato di tre minuti, alle Olimpiadi potrà fare meglio di me.

Sei rimasta in contatto con qualcuna delle azzurre con cui rivaleggiavi?

In Italia c’erano atlete che stavano in scia per tutta la gara, e poi tentavano di batterti in volata, a volte riuscendoci, a volte no. Non voglio fare nomi, comunque a me questo atteggiamento non piaceva, e di loro non avevo stima. Attualmente ho riscoperto Maura Viceconte, all’epoca me la presi perché lei era andata alle Olimpiadi ed invece io rimasi a casa. C'era qualcosa in sospeso, di non detto tra di noi. Vent’anni dopo ci siamo rincontrate, ne abbiamo parlato, abbiamo chiarito i nostri punti di vista, e ora c’è un bel rapporto tra me e lei. Per certe cose deve passare un po’ di tempo, e comunque meglio tardi che mai.

Tra i tuoi allori, c’è anche un argento alle universiadi di Buffalo nel ’93

Anche qui c’è un antefatto. Avrei dovuto partecipare alle Universiadi già nel 1991, ma anche quella volta i tecnici federali decisero di lasciarmi a casa. Ci furono grosse polemiche, in modo educato, ma io non le mandavo a dire. Nel 1993 nonostante fossi la migliore atleta emergente, mi arrivò una telefonata assurda, fatta da un tecnico, che sinceramente non ricordo neanche chi fosse, che mi disse che mi avrebbero portato alle Universiadi a patto che mi fossi allenata bene, e avessi dimostrato di poter competere per una medaglia. Così mi pagai il ritiro in altura a Saint Moritz, allenandomi da sola per quattro settimane. La gara si tenne a Buffalo, negli Usa. Quel giorno c’era un caldo soffocante, infatti la partenza fu data la mattina molto presto, per evitare le ore più calde. Mi ritrovai in testa con tre atlete giapponesi, che facevano gioco di squadra. Una si staccò, rimanemmo solo in tre e a quel punto almeno il bronzo era certo. Non mi accontentai e arrivò la medaglia d’argento. All’arrivo c’era il presidente Primo Nebiolo, lui non mi conosceva, si complimentò con me e mi disse: “Ma possibile che c’è una bella romana, che va forte e vince la medaglia d’argento, e nessuno me l’ha annunciata”? Fu una grande soddisfazione.

La corsa sta diventando un sport molto al femminile, secondo te perché?

No, non penso che il punto sia questo, non credo sia un sport prevalentemente al femminile. Credo sia una questione culturale. Negli anni ’90 era impensabile che una donna uscisse di casa la sera per andare a correre. Nel mio quartiere quando mi vedevano in giro ad allenarmi, mi prendevano per pazza, ero “quella che corre”. Ora le donne sono molto più emancipate, ed indipendenti. Oggi se una donna dopo una giornata di lavoro vuole andare a farsi una corsa, anziché stare a casa a stirare la camicia al marito, nessuno si può permettere di biasimarla. Da questo atteggiamento, secondo me, proviene questa prosperità del movimento femminile nei confronti del podismo. Oltretutto le donne che si dedicano alla corsa sono più di quelle che rivelano i dati, in quanto molte corrono e non gareggiano, e non essendo tesserate presso nessun circolo sportivo non compaiono in nessun statistica.

Come vedi invece la situazione a livello professionistico?

Dopo Baldini il nulla. Non c’è stato ricambio generazionale, i nostri migliori atleti, sia al maschile che al femminile sono bravi ma un po’ troppo avanti con l’età. Probabilmente a livello femminile otteniamo più risultati, ma è un po’ casuale, il problema è che non vedo giovani emergere. Io ho corso la mia prima maratona a ventitré anni, e a trentanove ero a fine carriera. Mi aspetterei di vedere un movimento di giovani promesse che sia importante, ma poco sembra muoversi all’orizzonte. Il problema è che abbiamo una scarsa cultura sportiva, lo sport deve entrare davvero negli istituti scolastici, non con l’oretta di educazione fisica, ma con veri e propri gruppi sportivi scolastici.

Per chiudere, di cosa ti occupi oggi?

Faccio l’allenatore della sezione running del Circolo Canottieri Roma, tra le altre cose. Pensa che ho portato a correre la maratona di New York un signore di quasi settanta anni, che avevo cominciato a preparare solo nove mesi prima praticamente da zero. La sua determinazione mi ha colpita. Poi collaboro con l’agenzia Effetto Italy, che organizza viaggi a carattere sportivo. Lo scorso novembre abbiamo portato circa 800 persone tra atleti e accompagnatori alla maratona di New York.