
Questa settimana facciamo la conoscenza di Federica De Nicola, triatleta e più precisamente una ironwoman di Milano, che alcuni mesi fa in Malesia ha colto il suo primo podio da professionista nell'Ironman di Langkawi.
Ciao Federica, cominciamo dal tuo recente terzo posto a Langkawi, raccontaci come è andata
E’ stata la gara più dura che abbia mai disputato. Generalmente prediligo gareggiare al caldo, mi esprimo molto meglio, ma a Langkawi la temperatura percepita era di quarantadue gradi, veramente troppo. I ristori erano stati posti sul percorso ogni 2 km, a ognuno prendevo due bottigliette d’acqua per arrivare a quello successivo, ma non erano sufficienti. Ho finito la benzina molto presto, mancava ancora moltissimo al traguardo, così ho cominciato ad usare ogni tipo di espediente per tenere la mente impegnata e ignorare la fatica. E’ stato il mio primo podio da professionista, una grande soddisfazione.
La svolta per te è arrivata nel 2017 a Kona
Si è così, purtroppo però i mesi precedenti non furono felici, i risultati che ottenevo non rispecchiavano la fatica che facevo in allenamento. Durante un training camp a Lanzarote conobbi Brett Sutton, che successivamente è diventato il mio coach; mi ha restituito stimoli, sicurezza, e mi insegnato a valutare la mia prestazione al di là del risultato finale. I giorni che precedettero la gara non furono comunque di buon auspicio: a Kona sarei dovuta andare con mia mamma, ma in prossimità della partenza venne a mancare mio nonno, così dovetti partire da sola. Non solo, uno dei motori dell’aereo su cui viaggiavo esplose, così fummo costretti ad un atterraggio di emergenza in Canada. Il viaggio durò in tutto cinquantasei ore! Ero ormai rassegnata a fare una scampagnata, non c’erano le condizioni fisiche e psicologiche per poter fare bene. Al via ero libera da ogni punto di vista, non avevo alcuna aspettativa su di me, non indossai neanche il Garmin: ne uscì la mia gara migliore di sempre"!
Solitamente si arriva al triathlon dopo essersi cimentati prima nella corsa, e/o nel ciclismo, se non sbaglio tu hai saltato questo passaggio, è esatto?
Si esatto, non vengo da nessuna delle tre discipline. La scelta del triathlon fu un caso, in quanto il mio ex fidanzato che giocava a rugby, mi scherniva perché non ero per nulla sportiva. Così per dimostrargli che se avessi voluto, avrei potuto fare qualsiasi sport, mi iscrissi ad un mezzo Ironman e pur preparandomi pochissimo arrivai in fondo. A questo punto c’ero dentro con tutte le scarpe, cominciai ad allenarmi con più metodo, e mi prefissai come obiettivo per l’anno successivo di qualificarmi per i mondiali di mezzo Ironman. Non solo mi qualificai, ma successivamente partecipai al mio primo Ironman completo.
Ci pensi a Tokio 2020, o ti dedicherai esclusivamente all’Ironman?
No, non ci penso per nulla, sono troppo lenta nella frazione di nuoto, e poi io mi esprimo meglio in gare lunghe, dove l’aspetto psicologico, la resistenza e la testa dura sono qualità importanti da mettere in gioco. Non ho mai disputato una gara più corta del mezzo Ironman.
Una affermazione molto comune nei triatleti è che patiscono la frazione di nuoto, è così anche per te?
Si purtroppo, il nuoto ce l’abbiamo innato, ma se non lo pratichi perdi questa capacità. Ho imparato a nuotare, o meglio non affogo, ma non ho la naturalezza e la confidenza di chi è stato in acqua fin da bambino.
C’é qualcosa che lo sport ti ha insegnato, che ti é stato utile nella vita?
Mi ha dato fiducia in me stessa, e mi ha reso più spontanea. Sono sempre stata molto disciplinata e studiosa, ma allo stesso tempo sono molto timida e introversa. Nello sport sei costretta a mostrarti come non vorresti: stanca, affaticata, sporca. Questo ti aiuta a superare quei complessi che ti fanno chiudere in te stessa.
Pensi di cimentarti nella maratona?
Sinceramente non ci ho mai pensato, forse più avanti, quando avrò chiuso con il triathlon, e comunque non da professionista.
Ho intervistato molte sportive, ho notato che hanno uno spirito competitivo più elevato rispetto agli uomini, secondo te perché?
Secondo me anche gli uomini sentono molto la competizione, ma in un modo diverso. Per gli uomini è più un istinto animale, primordiale, voler dimostrare di essere il migliore, primeggiare su tutti gli altri. Per le donne è un modo per emanciparsi, per dimostrare il loro valore. E’ una cosa più personale secondo me, il motivo per cui le donne vogliono competere.
Programmi per il 2019?
L’obiettivo principale è avvicinarsi sempre di più alle migliori, il podio a Langkawi mi ha reso molto felice, ma non posso ancora dire di poter competere con le più forti. Devo ancora lavorare per questo. Con il mio coach stiamo stilando in questi giorni il calendario gare, ma non c’è ancora nulla di definito.
Riprenderai prima o poi gli studi di medicina?
Penso di si, anche perché ho dato molti esami e non mi manca molto alla laurea. Comunque il mio obiettivo non è quello di fare il medico in uno ospedale, mi piacerebbe lavorare per esempio in una agenzia antidoping, o comunque fare un lavoro in cui far valere le mie conoscenze medico scientifiche, in laboratorio. Ma solo quando sarà finita la mia carriera.