
Ha realizzato il sogno di ogni bambino. È partito dalla squadra del suo paese, arrivando in Serie A e restandoci per sette stagioni, mica una soltanto. Classe 1977, difensore centrale, ottimo colpitore di testa e una buona propensione al gol: sono 16 infatti, quelli messi a segno nel corso della sua carriera di cui 8 nella massima serie. Ha vestito anche la maglia granata del Torino, ma la sua seconda casa è stata il Chievo e la città di Verona, dove è rimasto per 8 campionati. Ora vuole diventare un allenatore, sta studiando per questo e intanto è stato in diverse occasioni il vice di Michele Marcolini. Sperando di non eccedere nell’enfasi, un motivo di orgoglio per la città di Brugherio. Lui è Davide Mandelli.
Come ti sei avvicinato al calcio?
Ho cominciato nei primi calci dell’AC Brugherio, società che oggi non c’è più. Lì sono rimasto fino alla categoria esordienti, poi sono passato al Monza, dove ha fatto tutta la trafila che mi ha portato alla prima squadra, dove però non ho mai esordito. Solo qualche panchina, senza mai entrare.
Hai giocato sempre in difesa?
No, fino agli allievi ero stato un centrocampista, poi fortunatamente ho trovato un allenatore che mi ha cambiato di ruolo! È una battuta, comunque si sa, da ragazzi il ruolo non è ben definito, si sperimenta.
Dopo il Monza, giochi a Biella e a Varese
A Biella sono rimasto 2 anni, ottenendo una promozione in serie C2, poi passai al Varese in C1. In quegli anni svolsi anche il servizio di leva.
Quindi il primo grande salto, il passaggio al Torino nel 2000
Ero molto emozionato, firmavo per una delle squadre più importanti della storia del calcio. In panchina c’era Gigi Simoni, un grande allenatore e una persona fantastica. Arrivai da sconosciuto, sapevo che avrei dovuto lavorare molto per guadarmi un po’ di spazio. All’inizio le cose non andarono granché bene a livello di risultati, così quando il pallone cominciò a scottare Camolese, che subentrò a Simoni a stagione in corso, si affidò a giocatori di maggiore esperienza. Era giusto così, ma quando ci sei dentro non lo capisci, vorresti sempre giocare. Fu un anno molto formativo comunque.
In mezzo alle due esperienze al Toro, sei stato 2 anni a Siena, cosa ricordi?
Siena fu molto importante, perché giocai sempre e mi feci conoscere. Ottenemmo una salvezza insperata il primo anno, e la promozione in A l’anno dopo. Quando tornai al Torino, ero diventato un titolare.
Nel 2004 arriva il trasferimento al Chievo, in serie A, dove resti per otto stagioni, da giocatore.
È stata la mia seconda casa. Terminata la carriera di calciatore ho lavorato all’interno della società per altri quattro anni, come allenatore dell’under 17 e come vice di Marcolini in prima squadra. Ho vissuto momenti indimenticabili: l’esordio naturalmente, ma anche il primo gol in Serie A, contro l’Inter, il gol salvezza contro il Bologna, il settimo posto del 2006, che divenne poi un quarto posto per le retrocessioni d’ufficio dovute allo scandalo Calciopoli, consentendoci di giocare il preliminare di Champions League.
Giocare il preliminare di Champions deve essere stata una emozione impagabile
Ho pochi rammarichi per quanto riguarda la mia carriera. Uno, il più grande, riguarda la partita di andata del preliminare, che non giocai a causa di un infortunio che potevo tranquillamente evitare. Giocai la partita di ritorno non al centro percento, ero un giocatore importante per quella squadra, fu un dispiacere non presentarsi al massimo a un appuntamento del genere. Tra l’altro il sorteggio fu benevole, pescammo il Levski Sofia che era un avversario alla nostra portata, ma non riuscimmo ad imporci. Successivamente, venimmo eliminati anche dal preliminare di Europa League contro il Braga, e a fine stagione retrocedemmo in serie B. Un anno nero.
C’è stato un avversario che soffrivi particolarmente?
Parecchi, non uno solo. Ho avuto la fortuna di giocare contro alcuni mostri sacri del calcio: Shevchenko, Del Piero, Vieri, Adriano, Crespo, Totti… la lista sarebbe lunghissima. Ma se devo fare un nome su tutti dico Ibrahimovic. Provate a immaginare il giocatore che è oggi, ma più mobile.
Invece l’allenatore a cui sei rimasto più legato?
Non voglio essere ruffiano, ma tutti mi hanno lasciato qualcosa. Ero uno sgobbone, avevo sete di imparare sempre, così da tutti ho appreso qualcosa. Anche in questo caso potrei fare tanti nomi: Gigi Simoni, Sannino, Mario Beretta, Del Neri, Pillon… anche qui dovendo fare una scelta, ti faccio un nome che oggi è troppo facile fare, perché è sulla bocca di tutti, ma sono sincero: Stefano Pioli.
Quale pensi sia stato il tuo punto di forza come giocatore?
Essere ipercritico con me stesso, cercare sempre il pelo nell’uovo nelle mie prestazioni, cercare sempre di migliorami attraverso la grande abnegazione al lavoro. Anche se poi quando appendi le scarpette al chiodo, ti accorgi che con questo atteggiamento non te la sei goduta abbastanza.
Se mai stato vicino a passare ad un big della Serie A?
Qualcuno certamente mi ha seguito, ma dire che sono andato vicino a trasferirmi in una squadra di vertice mi sembra esagerato.
Di quale squadra eri tifoso da ragazzo?
Per la squadra di cui sono tifoso ancora oggi, il Milan. Sono scresciuto a biscotti Plasmon e stadio San Siro.
Sei contento della stagione immagino
Certo, ma la strada è ancora lunga. Comunque, l’appetito vien mangiando…
Che effetto fa realizzare il sogno di ogni ragazzino: partire dalla squadra del proprio paese e arrivare a giocare contro i più grandi, in Serie A?
È stato bello, non ci pensavo proprio. Anche perché le cose si sono fatte serie strada facendo, fino ad una certa età pensavo a divertirmi e basta. Solo quando ho iniziato a girovagare, partendo da Monza andando verso Biella, poi Varese, ho iniziato a capire che forse potevo giocare le mie carte.
Il tuo futuro è in panchina?
Spero di si, mi piacerebbe. Ho allenato nelle giovanili del Chievo, poi sempre a Verona sono stato vice di Michele Marcolini in prima squadra. Recentemente abbiamo avuto una esperienza poco fortunata a Novara, tutto comunque contribuisce ad aumentare il bagaglio di esperienza. Anche continuare come collaboratore di Marcolini non mi dispiacerebbe.
Ti capita mai di tornare a Brugherio?
Si certo, tutti i miei parenti sono a Brugherio, e comunque in futuro credo che tornerò a viverci.
Una versione di questa intervista è disponibile anche sul settimanale NoiBrugherio