"Dare sapore al sapere e innamorarsi del luogo dove si lavora" la ricetta per il successo di Davide Mazzanti

Davide Mazzanti è un tecnico giovane ma con già diverse coccarde appuntate sul petto, e trofei in bacheca. Quando l’ho conosciuto, circa un anno fa, ho avuto l’impressione di avere di fronte un uomo dall’animo molto semplice, il ragazzo della porta accanto, l’amico che chiami quando vuoi andare a farti una birra La simpatia che mi ha dimostrato nel corso di questa intervista, l’ha confermato. Allo stesso tempo, mi sono accorto che la sua passione quasi maniacale per la pallavolo è probabilmente il segreto del suo successo, il motivo per cui un po’ come un Re Mida, tutto quello che tocca diventa volley. Attualmente svolge il ruolo di coach della Weatlh Planet Perugia Volley, impegnata proprio questa sera in gara 2 del secondo turno dei playoff scudetto, contro Novara, mentre la prossima estate guiderà le azzurre a caccia dell’oro Olimpico, a Tokyo. Lo abbiamo raggiunto per fare un po’ il punto della sua esperienza a Perugia, e per capire come si sta preparando alla spedizione a cinque cerchi.

Come è maturata la scelta di entrare in corsa come coach di Perugia?

Prima che fossimo travolti dalla seconda ondata della pandemia, con la federazione avevamo concordato una sorta di tour lungo tutto lo stivale, in cui avrei avuto modo do osservare da vicino tutte le giocatrici del campionato. Poi questo progetto è chiaramente saltato, perché spostarsi da una regione all’altra era diventato problematico, quindi quando è presentata l’occasione di diventare tecnico di Perugia, l’ho colta al volo. Era allenante per me, inoltre mi permetteva di osservare da vicino le ragazze che porterò a Tokyo.

Lei è abituato a lottare per le prime posizione in ogni competizione, la sfida con Perugia era ottenere la salvezza. Cosa e quanto cambia nella gestione della squadra?

All’inizio ho pensato solo ad applicare il metodo che avevo studiato, pensavo che bastasse questo per riuscire ad ottenere buoni risultati con Perugia. Poi mi sono accorto che la metodologia non basta, devi essere innamorato del posto e della squadra dove sei chiamato a dare il tuo contributo. Quando l’ho capito le cose sono cambiate, sia a livello di feeling con la squadra, che a livello di gioco. Al di là dell’obbiettivo per cui competi, è importante essere tutt’uno con la squadra.

Quale sarebbe l’obiettivo che le farebbe essere soddisfatto della sua stagione con Perugia?

Vorrei vedere le ragazze libere di esprimere il loro potenziale. Abbiamo spesso giocato con l’ansia di non riuscire a portare a casa l’obbiettivo salvezza. Nelle ultime settimane ho visto qualcosa di molto diverso nell’atteggiamento, sarei proprio curioso di vedere fino a dove possiamo arrivare con questo spirito.

Quando finirà la stagione dovrà subito immergersi nella sfida delle Olimpiadi di Tokyo. Non teme di arrivarci un po’ stanco mentalmente?

Assolutamente no, il vantaggio di non avere il doppio incarico non consiste nell’arrivare più o meno freschi all’appuntamento olimpico, ma nell’avere molto più a tempo a disposizione per studiare. Sono molti i tecnici che rivestono un doppio ruolo, non ho mai visto nessuno cedere alla stanchezza.

Vi aspetta un girone difficile, ciò non toglie che siete tra le favorite, è d’accordo?

Credo di sì. Facciamo parte del quel novero di 6 squadre che ambiscono alla medaglia d’oro. Molte sono nel nostro girone, questo non ci agevola ma neanche ci spaventa.

Pensa che il rinvio di un anno possa aver mischiato le carte in tavola?

No, credo che i valori siano rimasti quelli dii un anno fa, è difficile che le cose cambino così rapidamente e maniera così radicale.

il volley è da sempre uno sport molto innovativo, molto poco tradizionalista e aperto al cambiamento.

Vero, negli ultimi venti anni la pallavolo sia diventato uno sport molto più aperto e molto più televisivo. Il cambio palla lo rendeva meno attraente, meno comprensibile e più difficile da inserire all’interno del palinsesto tv. Ho iniziato ad allenare quando questo cambiamento avveniva, non ho avuto modo di avvertire le differenze, ma credo che abbia fato bene anche dal punto di vista sportivo.

Utilizzo dei big data: so che lei ne è un sostenitore, ma non un talebano, Come si conciliano due differenti modi di interpretare lo sport?

Per gestite grandi talenti è necessario studiare molto e da molti punti di vista. I dati, che sono di diverse origini, rappresentano uno strumento ulteriore a disposizione del tecnico. Come dicevo in precedenza, questa è solo una parte del lavoro, la base se vogliamo, ma se si vuole arrivare alle persone, agli atleti, è necessario trasmettere qualcosa in più del sapere, dando sapore. È impossibile fare questo lavoro senza combinare questi due aspetti.

Quali sono i dati che meglio sussurrano all’orecchio, quando vuole avere indicazioni sullo stato di salute della sua squadra?

Adottiamo un sistema messo a punto dal nostro fisioterapista, attraverso il quale, incrociando le risposte delle atlete ad una serie di test fisici, possiamo conoscere quali sono ad esempio le possibilità che un’atleta sia prossima ad un infortunio, oppure sapere a quali altri aspetti prestare maggiore attenzione. In più se siamo in presenza di un elevato livello di stress, come in questo periodo, facciamo anche dei test ematologici.

Mi fa un esempio in cui l’utilizzo dei big data le hanno fatto vincere una partita che altrimenti non avrebbe vinto?

Mi sembra una esagerazione affermare che l’utilizzo dei dati mi abbia permesso di vincere una partita specifica, sono tanti e diversi i fattori che conducono al successo. Le faccio un esempio. Nel volley ci sono 6 ”incastri”, sei risultati possibili, per ognuno di esso simuliamo cento partite tra due squadre, per un totale di 600 simulazioni. Un po’ accade alla Playstation con Fifa, una simulazione di quel tipo, che parte da parametri di base che sono già in nostro possesso. Per ogni diversa situazione di gioco possiamo sapere quali potrebbero essere le possibilità di successo. Durante le qualificazioni alle Olimpiadi è successo che il campo rispettasse le previsioni, ma anche che venissero smentite. Cercare di prevedere quello che succederà durante una partita, attraverso dati storici, non garantisce che quello che è accaduto accadrà nuovamente. Mi piace avere una linea guida, ma una volta in partita bisogna essere bravi a leggerla.

Quali sono invece le aree in cui i big data non vengono sfruttati al massimo?

Bisognerebbe poter disporre di una piattaforma che raccolga tutti gli elementi in nostro possesso, ciò ci aiuterebbe perché abbiamo bisogno di incrociare tutte queste informazioni. La vera ricchezza sta nel poter confrontare tutti i parametri: sia fisici, che psicologici che statistici. Purtroppo, oggi, per la pallavolo non esiste un sistema simile, questo ci costringe ad avere una panoramica parziale di ciò che realmente accade.

Perché secondo lei nella pallavolo e nel basket l’utilizzo dei big data è una cosa acclarata, mentre nel calcio non se parla mai? Sembra quasi una cosa difficile da ammettere.

Non so di preciso perché ci sia questa remora, però conosco diversi allenatori che ne fanno largo uso. A mio parere le problematiche nel calcio sono diverse, ogni atleta è una azienda a sé, con il proprio fisioterapista e con il proprio preparatore. Ciò rende più difficile l’applicazione di questo sistema e l’assimilazione dei benefici che ne scaturirebbero. È molto più complicato poter incidere sul rendimento globale del gruppo.

Resterà a Perugia il prossimo anno?

Ancora non lo so, vedremo.

Riesce a non parlare di volley a casa, visto che sua moglie è anche una sua giocatrice?

Un tempo eravamo più bravi, ma dato il periodo abbiamo parlato quasi esclusivamente di pallavolo, anche perché la nostra casa è così piccola non ci consente di isolarci.