"A Sacchi devo tutto, che amarezza le parole rivolte da Van Basten al mister".

Quando si parla del Milan di Sacchi tutti i tifosi e coloro che hanno amato quella squadra, che secondo la Uefa è stata la più forte di sempre, ricordano facilmente i 12-13 nomi che andavano a comporre di volta in volta la formazione titolare. Le rose a quei tempi erano di massimo 18 giocatori e come ha ricordato lo stesso Sacchi in una intervista dello scorso anno concessa a Paolo Condò, 3 di questi erano portieri. I restanti 3/4 giocatori di movimento che inevitabilmente trovavano pochissimo spazio, molto spesso, cadono ingiustamente nell'oblìo. In quel Milan le seconde linee erano composte da un giovanissimo Costacurta, poi Mannari, Lantignotti, Mussi, Bortolazzi e Walter Bianchi. Quest'ultimo era considerato il luogotenente di mister Sacchi, quando se lo portò con sé a Milano avevano già 7 stagioni vissute insieme alle spalle. Con Walter ripercorriamo la storia del Milan dell'epoca, grazie alla testimonianza di chi quel miracolo calcistico l'ha vissuto in prima persona, seppure non da protagonista principale.

Buongiorno Walter, come sta? Di cosa si occupa oggi?

Oggi sono in pensione, mi occupo della mia famiglia e di me stesso. Ora sto abbastanza bene, ma nell'ultimo anno ho avuto grossi problemi di salute purtroppo, problemi che sembrano in via di risoluzione. Devo continuare a monitorare la situazione, meglio non abbassare la guardia.

Ricorda come apprese del suo passaggio al Milan?

Certo, era la fine della stagione 86/87 e giocavo nel Parma di Sacchi, che per inciso quell'anno batté il Milan per ben 2 volte in Coppa Italia. Me lo comunicò con una telefonata Oscar Damiani, che aveva smesso di fare l'allenatore per divenire procuratore, figura nuova nel calcio di allora. In realtà il mister aveva già anticipato sia a me, che a Mussi, che a Bortolazzi che l'avremmo seguito a Milano.

Ci fu anche un amichevole tra Milan e Parma all'inizio di quella stagione, in cui accadde un episodio che pochi, credo, conoscano. Ce lo vuole raccontare?

Si certo. All'inizio della stagione 86/87 giocammo una amichevole col Milan e un mio compagno, Davide Zannoni, riportò un infortunio molto serio. Il presidente Berlusconi, per scusarsi di quanto accaduto, regalò a Davide una automobile.

Il Milan di Sacchi era composto non solo di grandi giocatori, ma anche da elementi funzionali al gioco, come potevano essere ad esempio Angelo Colombo ed Alberigo Evani. Crede che se non avesse avuto così tanti infortuni avrebbe potuto trovare spazio anche lei?

Purtroppo arrivai al Milan con una pubalgia che mi trascinavo da tutta la stagione precedente. Il povero Dottor Monti mi disse di smettere di prendere antinfiammatori, che non mi sarebbero serviti a nulla se non a lenire il dolore. Sentivo così male che facevo persino fatica a girarmi nel letto. Sapevo però quale era il mio ruolo, Sacchi mi portò con sé perché conoscevo i movimenti della difesa e dovevo aiutare i miei compagni ad assimilarli. La difesa titolare era composta da Tassotti, Maldini, Filippo Galli prima e Costacurta poi, e Baresi. Anche senza infortuni avrei trovato poco spazio.

In 2 stagioni solo 5 presenze in campionato, ma riuscì a realizzare un gol all'Ascoli.

Si, scherzando dico sempre che la mia media realizzativa era superiore a quella di Van Basten! Entrai nel finale di partita per far tirare il fiato a Maldini e dopo 4 gol firmati proprio da Van Basten, realizzai la rete del definitivo 5-1.

Una bella soddisfazione immagino.

Io so chi sono e so da dove vengo, ho sempre tenuto i piedi per terra, quel gol non ha certo cambiato la mia carriera, ma indubbiamente è stato motivo di soddisfazione.

Per molti anni Sacchi l'ha voluta con sé ovunque andasse ad allenare. Ci descrive il suo rapporto con il mister?

C'è sempre stato un ottimo rapporto tra di noi, che è andato al di là del calcio. Lo conobbi all'età di 15 anni nelle giovanili del Cesena, lui era l'allenatore della Primavera. Mi allenavo con loro poi la domenica giocavo nella squadra Allievi, fino a quando compii 16 anni e rimasi con Sacchi in pianta stabile. Giocavamo davvero un bel calcio, c'era gente che veniva da Ravenna per vedere le nostre partite. Dopo nove anni alla sua corte come giocatore, quando divenne Direttore Tecnico del settore giovanile della Nazionale mi volle anche come assistente allenatore, per altri 4 anni. Gli devo tutto.

I primi mesi al Milan non furono semplici, gli schemi di Sacchi si rivelarono di difficile assimilazione per i giocatori. Cosa si diceva nello spogliatoio, tra di voi?

Non fu facile è vero, si trattava di stravolgere completamente una certa mentalità e senza il sostegno totale del presidente Berlusconi a Sacchi, che voleva intensità non solo in partita ma in ogni singolo allenamento, quel Milan non sarebbe mai nato. Ricordo che nelle prime settimane giocatori come Virdis ma anche lo stesso Baresi, mi chiedevano come avessi fatto a resistere tanti anni con lui. Alcuni mesi dopo, Virdis segnò un gol nel Derby rubando palla in pressing a Daniel Passarella. Arrigo ce l'aveva fatta, aveva trasmesso anche a uno come lui che era prevalentemente un finalizzatore, la propria mentalità.

Ma la storia secondo cui Sacchi mostrasse a Baresi le videocassette di Signorini era reale?

Certa stampa non amava Sacchi. Troppo rivoluzionario perché fosse apprezzato da alcuni esponenti della vecchia guardia del giornalismo. Allora per attaccarlo dicevano che mostrasse a Baresi le videocassette di Signorini. Non so se questo accadde davvero, certo è che il mister voleva che Baresi imparasse da Signorini i movimenti della zona, non che diventasse come Signorini. D'altronde io facevo la stessa cosa con Maldini. Paolo era un fuoriclasse, non doveva certo diventare Walter Bianchi, dovevo solo mostrargli i movimenti che Sacchi voleva.

Come dicevamo in precedenza, l'importanza dei giocatori funzionali al gioco del mister.

Certo. Prendete Angelo Colombo. Non voglio assolutamente denigrare Angelo, ma quando arrivò al Milan era reduce da 6 retrocessioni consecutive con 3 squadre diverse. Con Sacchi trovò le condizioni ideali per esprimersi al meglio, divenne titolare inamovibile per una intera stagione, quella dello scudetto soffiato al Napoli e l'estate successiva andò a giocare con la Nazionale l'Olimpiade di Seoul 88.

In quel primo anno Van Basten giocò pochissimo, a causa della caviglia che già allora creava i primi seri problemi all'olandese.

Già. Eravamo tutti e due infortunati e facendo esercizi in palestra, guardavamo dai vetri i nostri compagni allenarsi sul campo. Che sofferenza. Tornò solo a fine campionato, giocando alcuni spezzoni delle ultime partite. In estate poi ci fu il Campionato Europeo in Germania, Marco esplose segnando gol a raffica, contribuendo così in maniera decisiva alla vittoria finale della sua nazionale.

Il rapporto tra Van Basten e Sacchi fu davvero complicato?

Marco ha sicuramente mugugnato qualche volta, comunque quando si vedono sono sempre abbracci tra di loro. Devo dire però che nella biografia uscita qualche mese fa, ha usato parole spiacevoli nel confronti di Sacchi e questo non mi è piaciuto. So che Arrigo ci è rimasto male. Anche perché più di una volta ha ammesso pubblicamente che Marco i problemi più che crearli, li ha risolti.

Cosa ricorda della finale di Coppa Campioni contro la Steaua Bucarest?

Vincemmo ancora prima di entrare in campo. Li osservammo durante il riscaldamento, avevano lo sguardo di chi sarebbe stato sconfitto. La finale non ebbe storia, fummo superiori in tutto. Ricordo che giocammo con Ancelotti sulla sinistra, anziché al centro, perché Evani non era disponibile. Successivamente alcuni dissero che la Steaua non fosse una grande squadra, dimenticando che aveva vinto la finale contro il Barcellona solo due anni prima. Ebbi anche una discussione con un mio allenatore in seguito, mister Fascetti, che sosteneva addirittura che il nostro avversario si fosse "scansato". La realtà è che quando quel Milan giocava come sapeva, non ce n'era per nessuno. Faceva apparire gli avversari deboli, ma eravamo noi ad essere troppo più forti.

Prima ci fu l'ottavo di finale con la Stella Rossa, la partita della nebbia.

Nella vita ci vuole anche buona sorte. In 10 per l'espulsione di Virdis e sotto di un gol, eravamo praticamente fuori, quando l'arbitro fu costretto a sospendere l'incontro, proprio a causa della nebbia. L'avremmo pagata il giorno dopo quella fortuna, quando ci fu la ripetizione della partita. Prima l'arbitro non convalidò un gol regolare, poi Donadoni rischiò la vita, quanto a seguito di uno scontro di gioco si ruppe la mascella. Vincemmo ai calci di rigore, in quel momento nacque il Milan degli invincibili.