
Quello di domenica 15 maggio 1988 è un caldo pomeriggio di primavera. Sono quasi le sei, il sole si sta abbassando all’orizzonte e la sera sta lentamente prendendo il sopravvento. Da Como, dove si sta giocando Como-Milan, giunge nelle case del Paese, attraverso le radioline accese, il fischio dell’arbitro che decreta la fine dell’incontro sul risultato di 1-1. La voce regina di «Tutto il calcio minuto per minuto», quella di Enrico Ameri, annuncia: «Il Milan è Campione d’Italia». Silvio Berlusconi è presidente del Milan da poco più di due anni, Arrigo Sacchi è alla sua prima stagione sulla panchina dei rossoneri, eppure in quell’arco ristrettissimo di tempo, una squadra che per quasi tutti gli anni Ottanta è stata relegata al ruolo di comprimaria, ha colmato il gap che la separa dalle prime della classe, ed è ora sul trono di regina d'Italia, per l’undicesima volta. Sembra un momento importantissimo, di rara intensità e certamente lo è, ma col senno di poi era soprattutto il primo passo sulla luna, per quei pionieri del calcio spettacolo. Una squadra ancora acerba, che molto altro avrebbe avuto da dire e dare, per i seguenti vent’anni, sia a livello nazionale che internazionale, come pochissime altre squadre sapranno fare. Se esiste la storia del calcio, una buona parte l’ha scritta il Milan.
Momento storico
Milano è una città a guida Psi, il sindaco è Paolo Pillitteri. Un celebre spot dell’epoca spiega in pochi secondi la città di quegli anni, tanto che ancora oggi, per sintetizzare con efficacia e puntualità il momento storico in cui la città era calata, la si definisce “Milano da bere”, proprio come recita la frase che chiude quella pubblicità. Milano è ricca, benestante, l’Italia non era ancora pronta a entrare in Europa, ma l’Europa e il mondo erano già entrati a Milano. Certamente era la prima città del Paese che usciva dal proprio comfort domestico e si apriva al concetto di globalità. Era in fase di realizzazione la terza linea della metropolitana, l’ampliamento dell’aeroporto di Malpensa, nonché il terzo anello e la copertura dello stadio San Siro. Milano era diventata anche la capitale delle tv private, per merito o per colpa proprio di Berlusconi che da Cologno Monzese attraverso le sue reti irradia su tutto il territorio nazionale programmi che strizzavano l’occhio alla tv made in Usa: a volte erano produzioni discutibili, ma certamente innovative per l’epoca. A pensarci ora, vi era distonia nel fatto che una delle nuove capitali del globo fosse a conduzione socialista, mentre di lì a pochissimo la cortina di ferro si sarebbe afflosciata su sé stessa. La storia dimostrerà in seguito che non era tutto oro quel che luccicava, ma in quel momento Milano dominava la scena. Tranne che nel calcio. L’ultimo campionato vinto dal Milan è datato 1979, l’Inter vince l’anno seguente, poi per molti anni sarà spesso una contesa tra Roma e Juventus. Ma come si fruiva il calcio a quei tempi? Sky è solo una parola inglese, non un canale tv. Le partite si ascoltano in diretta radiofonica, le immagini sono disponibili sulla Rai, solo una volta terminati gli incontri. Alle 18 l’appuntamento è con Novantesimo Minuto di Paolo Valenti, alle 19 c’e Domenica Sprint con Gianfranco De Laurentiis, mentre alle 22 è il turno della Domenica Sportiva di Sandro Ciotti. Fine delle trasmissioni. Il lunedì mattina «La Gazzetta dello Sport» è più venduta della Bibbia, mentre per gli appassionati del bar dello sport la sera c'è Aldo Biscardi col «Processo del lunedì». Era considerato un programma trash allora, ma vi prendevano parte firme autorevolissime del giornalismo. Dopodiché, se avevi la fortuna di fare il tifo per una squadra che giocava nelle coppe europee, c’erano le partite del “mercoledì di coppa”, citato come momento sacro di metà settimana per la media borghesia, ben rappresentata nei primi due film della serie di Fantozzi. Altrimenti niente più calcio fino a domenica. Ricordo che in quegli anni, il giovedì, alcune formazioni di serie A giocavano incontri amichevoli contro piccole squadre di provincia del proprio territorio. Se eri in astinenza da calcio giocato, ti andavi a cercare sul televideo anche il risultato di quelle partite... ah già, probabilmente non sapete cosa sia il televideo. Ne parliamo un’altra volta.
Le premesse del campionato 87/88
Dalla seconda metà degli anni Ottanta, è evidente a tutti che il grande ciclo della Juventus è alla fine. Nel 1985 e nel 1987 vi sono due prime assolute, quelle di Verona e Napoli. Ma mentre per gli scaligeri quello resterà un exploit, il Napoli di Maradona è una squadra fortissima che ha appena aperto un ciclo. Diego Maradona, nell’estate 1987, è re di tutto. Nel giro di un anno diviene Campione del Mondo con l’Argentina, Campione d’Italia con Napoli e vince anche la Coppa Italia. E certamente pensa alla Coppa dei Campioni in quell’inizio di stagione, se non fosse che i partenopei incontrano il Real Madrid al primo turno, venendo eliminati. In ogni caso restano i favoriti per il campionato, anche grazie all’arrivo del brasiliano Careca che affiancherà proprio l’argentino in attacco. La Juventus dal suo canto ha detto addio a Platinì, che ha deciso di porre fine alla sua carriera di giocatore, mentre a fine stagione concluderà la sua carriera anche Gaetano Scirea. L’ossatura dei bianconeri presenta osteoporosi, per così dire, in quanto l’età media comincia a essere elevata, come dimostra anche la magra figura della Nazionale ai Mondiali del 1986, dove la presenza dei giocatori della Juventus è preponderante. Arriva in bianconero il gallese Ian Rush, che al Liverpool più che un centravanti è una vera e propria sentenza, ma che in Italia si intristisce e a fine stagione tornerà da dove era venuto. L'inter, senza più Rummenigge, investe forte su un belga di chiare origini italiane, Vincenzo Scifo. Anche lui verrà congedato a fine campionato. Curiosamente avrà di nuovo una chance in nerazzurro qualche anno dopo, quando l’allora presidente Pellegrini lo riacquista dal Torino, ma il centrocampista fallisce nuovamente l’appuntamento con la storia nerazzurra. La Sampdoria ha tra le sue fila i due giovani di maggior talento, Gianluca Vialli e Roberto Mancini, oltre all’esperto brasiliano Cerezo. Il presidente dei doriani, Paolo Mantovani, decide di confermare in blocco la rosa dell’anno precedente, senza apportare modifiche sostanziali. La Roma è un misto di esperienza e gioventù. Ha in porta Tancredi, c’è ancora Bruno Conti sulla fascia, Collovati in difesa e persino Pruzzo, come riserva in attacco. Ma ci sono anche Giannini, Desideri e Policano a centrocampo. In panchina due portieri come Angelo Peruzzi e Attilio Gregori, attaccanti come Baldieri e Agostini. Inoltre dalla Germania è arrivato Rudi Voeller, non più di primissimo pelo, almeno per l’epoca, ma che ha appena vinto la Bundesliga col Werder Brema. Quando poi cedono Ancelotti al Milan, sono convinti di aver fatto l’affare del secolo.
Il Milan 87/88
Già, il Milan. Berlusconi in quegli anni è l’equivalente di un Re Mida, quel che tocca diventa oro. Dopo essere salito alla ribalta, grazie alla sua intraprendenza nell’edilizia e poi nel mondo delle tv private, vuole sfondare anche nel calcio. Diventa proprietario dei rossoneri nel febbraio 1986, quindi nell’estate di quell’anno apporta la prima rivoluzione alla rosa, acquistando i giovani più promettenti del calcio italiano: Roberto Donadoni, Ivano Bonetti, Daniele Massaro, Giovanni Galli... e Giuseppe Galderisi. Quest’ultimo, in realtà, è una scelta di ripiego: è stato l’attaccante del Verona Campione d’Italia, ma le sue polveri sembrano già essersi bagnate. Il fatto è che il Milan si ritrova improvvisamente senza attaccante titolare a tre giorni del termine del calciomercato, così, su due piedi, vira su Galderisi. Il vero obbiettivo è Luca Vialli, che in realtà sarebbe molto più di un semplice oggetto del desiderio. Mantovani, presidente della Sampdoria, squadra in cui milita Vialli, ha già posto timbro e firma sul contratto di cessione, l’accordo tra le società è raggiunto e va solo ratificato con la firma del giocatore; ma quando Galliani e Braida si recano a casa di Vialli, lui non ne vuole sapere di apporre la propria firma in calce al contratto, di conseguenza il suo passaggio al Milan salta. In ogni caso, nella prima stagione di presidenza Berlusconi le cose non vanno come sperato: a fine campionato i rossoneri si classificheranno soltanto quinti, a pari punti proprio con la Sampdoria di Vialli. Si rende necessario quindi uno spareggio, per stabilire chi avrà accesso all’ultimo posto disponibile per la Coppa Uefa. Il Milan si prende la sua rivincita sportiva, vincendo quello spareggio. Occorre ora ricordare le norme dell’epoca: in Coppa dei Campioni ci qualifica soltanto la squadra campione d’Italia, in Coppa Uefa vanno le squadre classificatesi dal secondo al quinto posto, mentre la vincitrice della Coppa Italia prende parte alla Coppa delle Coppe. La Serie A è composta da quindici squadre, le giornate di campionato sono quindi trenta, la vittoria vale due punti. Gli stranieri in rosa possono essere soltanto due, e soltanto dalla stagione 87/88 il mercato riguardante i giocatori provenienti dall'estero resterà aperto continuativamente. Negli anni Ottanta infatti, il mercato dei giocatori stranieri in Italia veniva aperto ogni due-tre stagioni, in quelle in cui non era consentito ingaggiarne di nuovi si parlava di "frontiere chiuse".
Per questo motivo gli olandesi Gullit e Van Basten, pur essendo stati opzionati dal Milan nell’estate del 1986, arrivano solo col mercato del 1987, quando agli stranieri viene dato il definitivo via libera. Nel frattempo, il presidente Berlusconi decide per una seconda rivoluzione: in panchina il “barone” Liedholm viene sostituito dal semisconosciuto Arrigo Sacchi, allenatore del Parma in Serie B, fino alla stagione precedente. Il Parma, tra l’altro, resta fuori dai giochi per la promozione in A, ma incontra il Milan ben due volte in Coppa Italia, a San Siro, battendolo in entrambe le occasioni. Berlusconi è un istintivo, si innamora del gioco degli emiliani e decide che Sacchi siederà sulla panchina dei rossoneri, nonostante il tecnico abbia già un accordo con la Fiorentina. Dai gialloblù sbarcano a Milano anche Mussi, Bianchi e Bortolazzi, mentre dalla Roma arriva Carlo Ancelotti. I giallorossi sono convinti di aver rifilato al Milan quella che a Roma chiamano “na sola”. Carlo è un centrocampista di enorme intelligenza tattica, con un’ottima visione di gioco e un tiro dalla distanza potentissimo. Sembra il centrocampista perfetto, se non fosse che legamenti e menischi delle sue ginocchia sembrano di porcellana. Berlusconi conosce il background del giocatore, proprio non gli va di tirare fuori soldi per un calciatore dal futuro così incerto, ma Mister Sacchi insiste per averlo, finendo per spuntarla. Infine, dalla retrocessa Udinese arriva Angelo Colombo, ala destra di modesto valore, fino a quel momento. Il mercato del Milan fa rumore ma suscita comunque molti dubbi: l’unica vera stella è Gullit, che sembrava destinato alla Juventus e invece si accasa a Milano. Van Basten al momento è solo un giovane promettente attaccante, arrivato dall'Ajax a “parametro Uefa”. Al tempo i giocatori, anche se in scadenza di contratto, non erano liberi di andare dove volevano, chi rilevava il cartellino doveva comunque un “indennizzo” alla società di appartenenza. Questo indennizzo era chiamato appunto, parametro Uefa. Solo in seguito alla sentenza Bosman di qualche anno dopo, si parlerà di giocatori liberi a parametro zero. Per quel che riguarda invece Mussi, Bianchi e Bortolazzi...beh, non paiono altro che riserve, mentre Ancelotti, con i suoi 28 anni e molti infortuni alle spalle, sembra un giocatore al tramonto. Per non parlare di Angelo Colombo, che è letteralmente un oggetto misterioso. Del roboante mercato della stagione precedente resteranno solo Giovanni Galli, Massaro e Donadoni. È evidente quindi che il Milan è tutto da inventare e che bisognerà pensare a valorizzare alcuni degli elementi già in rosa, che ancora non si sono pienamente espressi.
L’inizio di stagione
Dopo un avvio molto stentato, che costa anche la prematura eliminazione dalla Coppa Uefa contro gli spagnoli dell’Espanol, a novembre Sacchi trova la quadratura del cerchio. L’infortunio di Van Basten, che resterà fuori per quasi tutta la stagione, spinge il tecnico a passare dal modulo 4-3-3 al più solido 4-4-2. A centrocampo dispone il rombo, con Donadoni davanti ad Ancelotti. Colombo è una lietissima sorpresa, sulla destra macina chilometri e cross. Sull’altro lato Evani, prodotto del vivaio rossonero, fa il medesimo lavoro. La difesa è composta da Tassotti, Maldini, Filippo Galli e Baresi. Tutti già in rosa, da molti anni. In attacco Virdis affianca Gullit. Curiosamente Massaro, uno degli acquisti della stagione precedente, non trova una collocazione in campo e fa molta panchina, così nel mercato invernale passa in prestito alla Roma. Quando tornerà a Milano l’anno dopo, diventerà non solo uno dei luogotenenti del tecnico romagnolo, ma anche uno dei giocatori più decisivi della storia del Milan. Comunque, nel campionato 87/88 verrà sostituito per alcuni mesi dall’impalpabile Viviani, anche egli in prestito, dal Como. Un giovanissimo Billy Costacurta, altro elemento cresciuto nel vivaio, va a farsi le ossa in prestito: la sua destinazione è il Monza. Anche lui tornerà l’anno seguente e diventerà un titolare inamovibile. Bianchi, Bortolazzi e Mussi come previsto fanno panchina. Mentre dalla quadra primavera vengono promossi in prima squadra l’attaccante Graziano Mannari e Christian Lantignotti. In pratica l’undici titolare, è composto dal Milan dell’anno precedente a cui si aggiungono Gullit, Colombo e Ancelotti. Ma è il gioco l’elemento chiave della metamorfosi dei rossoneri. Sacchi applica la zona come non si era mai visto fare: pressing alto e fuorigioco ossessivo, oltre a ritmi di partita sempre altissimi.
La prima metà di stagione
La lotta per lo scudetto diventa presto un duello a distanza tra il Milan e i Campioni d’Italia del Napoli. Inter e Juventus avranno risultati altalenanti per tutta la stagione, la Roma resterà stabilmente a ridosso delle prime due della classe, ma senza mai impensierirle realmente, mentre la Sampdoria si confermerà sui livelli della stagione precedente. Il distacco tra Milan e Napoli avrà per tutto il campionato un andamento a fisarmonica, in media tra i tre e i cinque punti di distacco, sempre a favore dei partenopei, in testa fin dalla prima giornata. Il Milan perde punti nelle prime partite, poi infila una serie di successi, tra i quali la vittoria nel Derby contro l’Inter per 0-1 . Partita equilibrata, giocata in formazione rimaneggiata, e risolta da un’autorete del pur bravo Riccardo Ferri. Se sono mai esistiti specialisti degli autogol, il nerazzurro è certamente uno di questi. La squadra di Sacchi incappa però anche in uno 0-2 a tavolino nella partita casalinga contro la Roma, poco prima di Natale. Sul campo l’incontro termina 1-0 per i rossoneri, ma a quei tempi vigeva la sciagurata norma della responsabilità oggettiva, che punisce con la sconfitta, decretata dal giudice sportivo, gli atti violenti compiuti dai propri tifosi. Così, un petardo lanciato dalla curva del Milan colpisce il portiere giallorosso Tancredi, che sviene ed è costretto a uscire dal rettangolo di gioco. La partita diviene un’inutile esibizione su cui pende la spada di Damocle della giustizia sportiva, che curiosamente quell’anno avrà molto da fare. Quando questa regola verrà abolita, cesseranno anche questo tipo di episodi. Quella sconfitta sembra spedire il Milan definitivamente lontano dal vertice della classifica. Allo scontro diretto casalingo della tredicesima giornata contro il Napoli, di inizio gennaio, la squadra di Sacchi arriva con cinque punti di distacco.
Milan-Napoli 4-1
Che diventa di 7 punti quando, dopo pochi minuti dall’inizio dell’incontro, Careca, servito magistralmente da Maradona, con un pallonetto supera Giovanni Galli e porta in vantaggio il Napoli. La strada per i partenopei sembra spianata, ma i rossoneri rimettono la palla in gioco dal centro del campo, con l’atteggiamento tipico di un pugile che prende un cazzotto, cade al tappeto e si rialza più smanioso e furioso che mai. Dopo pochi minuti infatti Angelo Colombo pareggia e, successivamente, poco prima del riposo, Pietro Virdis sigla il vantaggio per i padroni di casa. La ripresa è un monologo del Milan, Gullit dribbla il portiere del Napoli e insacca il 3-1. Nel frattempo vengono scossi anche pali e traverse della porta di Garella, che quando può farlo interviene affinchè il risultato non divenga ancora più pesante. Poi nella debacle generale del Napoli, cade in errore lo stesso Garella, che interviene goffamente su un tiro centrale di Donadoni, che si insacca lentamente per il 4-1 finale. Nessuno, nell’ultimo anno e mezzo, ha sottoposto il Napoli a un’umiliazione simile. Maradona non influisce, assist per Careca a parte. Il Milan si porta a tre punti di distacco dai primi della classe e, senza la sconfitta a tavolino, la distanza si ridurrebbe a un punto soltanto. Ma è la classifica reale quella che conta e tre punti di vantaggio, con la vittoria che ne vale due, al "cambio" attuale equivale a 5/6 punti dei nostri giorni. Nello spogliatoio napoletano, probabilmente, si pensa più a una domenica storta che a una preoccupante lezione di calcio.
Il girone di ritorno
Il Napoli reagisce alla grande alla sonora sconfitta contro il Milan, vincendo le ultime due partite del girone di andata e le prime cinque del girone di ritorno, per un totale di sette vittorie consecutive. Il Milan non riesce a tenere lo stesso passo, incappando in due pareggi esterni, contro Fiorentina e Ascoli. Così la distanza tra le due contendenti torna a essere di cinque punti. Mancano ancora dieci giornate alla fine, ma cinque punti sono davvero tanti. Inoltre il Milan, pur creando molte occasioni fatica a fare gol. Virdis e Gullit vedono certamente la porta, ma non sono attaccanti da venti gol a stagione, almeno non in quel momento delle loro carriere. L’assenza di Van Basten si sta rivelando più problematica del previsto. Dalla sesta alla decima giornata del girone di ritorno, il Milan pareggia ancora in due occasioni: in trasferta contro il Torino e in casa contro il Verona. La faticosa vittoria casalinga contro l’Empoli per 1-0 della venticinquesima giornata, sembrerebbe solo confermare le difficoltà realizzative dei rossoneri, ma in realtà è il primo segnale di una rivoluzione che si sta per compiere: il gol vittoria lo sigla Marco Van Basten, che proprio quel giorno è al rientro dopo l’infortunio alla caviglia, che l’ha tenuto fuori per quasi tutta la stagione. È il primo gol in campionato, a San Siro, del Cigno di Utrecht.
Nel Napoli intanto, qualcosa si è rotto. Se è vero che nella stessa giornata in cui il Milan batte l’Empoli, i partenopei vincono contro l’Inter, dopo quel filotto di sette vittorie anche la squadra di Maradona inciampa: perde in casa con la Roma e pareggia con Empoli e Torino. Mancano cinque giornate al termine, il distacco tra Milan e Napoli è ora di quattro punti. Il vantaggio dei Campioni d’Italia, a quel punto della stagione non è grande, è enorme. Inoltre il Milan ha un calendario assurdo: dovrà incontrare nell’ordine Roma, Inter, Napoli e Juventus. Le possibilità degli uomini di Sacchi, non sono pari a zero solo perché la matematica è una scienza esatta. Non è fatta di opinioni o supposizioni, ma di dati incontrovertibili. In ogni caso chiunque, tra addetti ai lavori e tifosi, pensa che il secondo titolo tricolore per il Napoli è in cassaforte.
Nelle due giornate che precedono lo scontro diretto del San Paolo, il Milan sfoggia il suo abito migliore. Vince contro Roma e Inter per 2-0, esibendo un’esaltante superiorità di gioco e creando innumerevoli occasioni da gol. Il Napoli invece, perde a Torino contro la Juve per 3-1 e pareggia a Verona. Quando mancano tre giornate al termine, il distacco tra Milan e Napoli è solo di un punto e la partita successiva le vedrà l’una contro l'altra. Praticamente è la finale del campionato.
La settimana che precede il big match
Il Napoli arriva alla partita decisiva in condizioni fisiche precarie, e con una condizione psicologica ancora peggiore. Non è facile, dopo essere stati lungamente in testa alla classifica, ritrovarsi alla terzultima di campionato dovendo rimettere in gioco il proprio destino. Probabilmente, nelle settimane precedenti, avevano immaginato che quella sarebbe stata la partita della matematica certezza, quella della festa proprio in faccia ai rivali. Invece ora, persino nell’ipotesi di vincere lo scontro diretto, il Napoli non potrebbe ancora abbandonarsi alla gioia della definitiva vittoria. Maradona sa che la situazione nello spogliatoio dei partenopei è molto complicata, e che il Milan è sia mentalmente, che fisicamente tirato a lucido. La squadra di Sacchi non splende, abbaglia decisamente. Comunque, da vero leader, cerca di truccare le carte in tavola e intimorire gli avversari. Per tutta la settimana parla con la stampa, fa proclami e si dice certo che il suo Napoli vincerà per 2-0. A Ottavio Bianchi, tecnico dei partenopei, tocca invece il pragmatistmo: sa bene che la sua squadra è in difficoltà e che ormai il campionato si deciderà all’ultima giornata. Quindi è necessario ottenere un pareggio che lascerebbe la classifica immutata, arginando con una linea maginot l’esuberanza fisica, nonché il debordante entusiasmo del Milan. Così schiera il suo Napoli con un insolito 5-3-2, che palesa le sue intenzioni tattiche. Gli attaccanti Giordano e Carnevale siedono in panchina, addirittura la maglia numero 9, quella solitamente destinata al centravanti, la veste il mediano Salvatore Bagni. Il Milan invece è in formazione tipo, schierandosi in campo col suo classico 4-4-2.
Napoli-Milan 2-3
È il primo maggio 1988, lo stadio San Paolo trabocca di gente, i colori tutt’attorno sono più brillanti del solito. La giornata è soleggiata, il cielo è terso, tutto è apparecchiato affinché la resa dei conti tra le due squadre sia spettacolare fino in fondo. La partita però non è bella, il Milan è bloccato dalla paura di vincere, il Napoli da quella di perdere. Per quasi tutto il primo tempo non succede granché, fino a quando la squadra di Sacchi si procura un calcio di punizione dal limite dell’area napoletana. La battuta finisce contro la barriera, ma la palla rimbalza in un nugolo di gambe, filtrando poi lentamente alle spalle della stessa. Garella esce per far sua la sfera in presa bassa, ma Virdis da vero rapace, anticipa l’estremo difensore avversario e deposita in rete. A cinque minuti dal riposo il Milan è in vantaggio. Sarebbe importantissimo chiudere la prima frazione con quel risultato, per i rossoneri. Ma Maradona questa volta gioca da par suo, e si vede. Altra punizione, questa volta dal limite dell’area ospite. Il tempo regolamentare è scaduto, ma l’arbitro lascerà calciare quell’ultimo pallone. Diego dipinge una traiettoria di cui solo lui è capace: scavalca la barriera e manda la palla nell’angolo alto alla destra di Giovanni Galli. Il portiere milanista quasi compie il miracolo, tocca la sfera con la punta della dita ma non riesce ad allontanarla dalla porta. Sarebbe bastato partire mezzo passo più a destra. Nulla di fatto dunque, si va al riposo sull'1-1. Sacchi racconterà molti anni dopo che nello spogliatoio molti suoi giocatori avevano le mani tra i capelli, pensavano di aver definitivamente perso l’occasione di vincere la partita. Lui allora decide di dare un segnale forte alla squadra: toglie un centrocampista, Donadoni, e inserisce un attaccante, Van Basten, tornando così all’originario 4-3-3 proprio nella partita in cui si gioca il tutto per tutto. Il cambio ha l’effetto sperato, il Milan sale in cattedra, Gullit gioca da attaccante esterno al servizio delle due punte centrali, che grazie alla sue furiose incursioni vanno a segno. Prima l’olandese crossa da destra per la testa di Virdis, ancora lui, che segna la sua doppietta e riporta in vantaggio i rossoneri; poi serve Van Basten da sinistra, con un pallone rasoterra solo da spingere in rete. È il 3-1. La partita sarebbe virtualmente chiusa, ma la difesa del Milan si distrae nei minuti finali, permettendo a Careca di accorciare le distanze con un colpo di testa ravvicinato, tenendo così gli avversari sulle spine al fischio finale. Ma non succederà più nulla, il match si conclude col risultato di 3-2. Mentre i giocatori del Milan si abbracciano a centrocampo, i tifosi del Napoli rendono onore agli avversari con un applauso che resterà nella storia del calcio italiano, come esempio di lealtà sportiva.
L'undicesimo scudetto
Il Milan è davanti al Napoli di un punto, a due giornate dal termine. In teoria nulla è ancora deciso, ma lo spogliatoio azzurro accusa il colpo e si spacca: i napoletani verranno sconfitti anche nelle restanti due partite. Il capro espiatorio sarà l’allenatore Ottavio Bianchi, che a fine stagione verrà ripudiato da gran parte dei suoi giocatori, Maradona in testa, costringendolo a fare le valigie. La cosa incredibile, è che nemmeno il Milan vincerà le ultime partite: pareggerà in casa contro la Juventus e poi a Como. Il campionato si conclude dunque col Milan Campione d’Italia a 45 punti, seguito dal Napoli a 42. Nelle ultime cinque giornate i partenopei avranno conquistato un solo punto, contro gli otto dei rossoneri. Una debacle, proprio in vista del traguardo, che resterà inspiegabile.
La festa
La sera del 15 maggio, l’appuntamento per tutti i tifosi del Milan è allo stadio Meazza. La festa è di stampo berlusconiano, ma allora questa espressione non aveva affatto un’accezione negativa, come oggi. Vi sono luci, musiche, ringraziamenti. C’è persino il presentatore, il compianto Cesare Cadeo. I giocatori sfilano eleganti, chiamati uno alla volta in mezzo al campo a parlare al microfono, pronunciando le rituali frasi che si convengono in queste occasioni. Poi le celebrazioni sbracano. Prima Berlusconi, poi Sacchi, vengono lanciati in aria dai giocatori, segue un giro d’onore lungo il perimetro del campo, tutti insieme, appassionatamente. Sembrava la gioia della durata non più lunga di un istante, la celebrazione di una stagione lunga che si esaurisce in fretta, una sensazione intensa ma molto breve. Invece quella sera nasceva la leggenda di una squadra, che a tutt’oggi secondo la Uefa, è stata la migliore della storia del calcio. Non ti puoi accorgere che la storia ti sta passando accanto, quando vivi momenti del genere. Te ne rendi conto solo quando ti volti indietro a guardarla. Credo sia lecito dire che qui, oggi, abbiamo raccontato un po’ di storia.